Roma, 10 settembre 2024 – Al secondo vertice di maggioranza sulla manovra si presenta anche il direttore d’orchestra. Quando si tratta di soldi, non può mancare il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, assente alla riunione del 30 agosto: repetita iuvant , e lui ripete quello che con un taglio più politico aveva già comunicato in modo chiarissimo la premier: la situazione è quella che è, i paletti sono rigidi, dobbiamo fare i conti con gli obblighi del patto di stabilità e del piano strutturale di medio termine, tanto più che bisogna trattare le condizioni di rientro in sette anni con Bruxelles. Quindi urge adeguato segnale di austerità, pardon, di "serietà ed equilibrio", come sottolinea il comunicato congiunto stilato dai presenti (Meloni, Salvini, Tajani, Lupi, oltre al titolare del Mef). Insomma richieste sì, ma poco esose. Anche perché Giorgetti e la premier hanno un sogno inconfessabile pubblicamente ma preciso: rientrare nel parametro deficit/Pil sotto il 3% già nel 2026. Parsimonia, parsimonia, parsimonia, dunque. Ops: serietà ed equilibrio. I partiti però qualcosina al loro elettorato devono porgere e quindi un po’ insistono e insisteranno. Il vertice prandiale certo non sarà l’ultimo, in mezzo ci saranno incontri tra le delegazioni dei partiti e il ministro. Si parte oggi con Forza Italia.
Gli azzurri insistono sul sostegno alle industrie, ma quella è una voce che accomuna tutti si tratta solo di capire come e quanto e, come ogni anno, sull’innalzamento delle pensioni minime. Le ambizioni sono limitate si tratterebbe di portare l’assegno a 625/650 euro, insomma un caffè in più al mese per i pensionati ci scappa. La Lega ha deposto la bandiera di quota 41: Giorgetti, pur essendo il numero due del Carroccio, l’ha cassata. Il nuovo cavallo di battaglia è la flat tax. Salvini ci prova e lancia il tetto di 100mila euro. Sulle certezze non si discute: conferma del taglio del cuneo fiscale, altra sforbiciata alle aliquote Irpef e bonus mamme. Sull’assegno unico qualche problema ancora c’è, non che il governo intenda annullarlo ma bisogna trovare un modo per aggirare quell’ordine europeo di attribuirlo anche ai figli di tutti gli immigrati che per la premier e il ministro è intollerabile non politicamente, ma perché in soldoni non ci arriverebbero,
Alla lista delle urgenze se n’è aggiunta un’altra: per l’Italia intera il cruccio è la sanità. Non casualmente, la contromanovra che Elly Schlein è decisa a presentare parte da lì per toccare poi istruzione, lavoro e stipendi, industria, diritti civili. Tappa fondamentale, questa agenda alternativa per la segretaria del Pd per verificare con chi può costruire del campo largo. Meloni ha capito che non può lasciare un’arma tanto contundente nelle mani dell’opposizione, qualcosa in più deve riuscire a fare. Cosa? Meglio dire quanto: due miliardi, quelli che ha chiesto al ministro Giorgetti di far venire in qualche modo fuori per il problema numero uno dei cittadini. Un passo avanti, sulla strada della manovra, ancora lontana dal traguardo. Dovrebbe essere licenziata dal consiglio dei ministri prima del 20, probabilmente il 17 settembre, previo passaggio alla Camere non obbligatorio ma chiesto dai capigruppo.
Il vertice di ieri pur essendo convocato da tempo doveva anche lanciare due messaggi. Il primo, come detto, è quello serio, rigoroso rivolto alla Europa. Il secondo è invece chiudere l’infausta settimana segnata dal caso Sangiuliano. Qualcosina al governo è costato anche se i sondaggi che circolano dicono non tantissimo: uno 0.4%. In ogni caso urge metterci una pietra sopra.
Solo che proprio qui capita il classico incidente: Forza Italia presenta un emendamento al ddl sicurezza in esame alla Camera che prevede il rinvio del carcere per le mamme con figli sotto l’anno. Gli alleati s’imbizzarriscono due volte: la prima per il contenuto che ovviamente non condividono. La seconda per il danno d’immagine. "Questi proprio non sanno stare in una coalizione – sbotta qualcuno – possibile che subito dopo Sangiuliano non trovino di meglio che aprire una nuova polemica?". Naturalmente, sul tavolo c’erano anche la Rai e la Liguria. Ci sono ancora: niente intesa.