Roma, 23 marzo 2017 - Il riferimento a Weimar, il rischio che pavento da diversi anni, vedendo l’evoluzione della politica italiana, è entrato nel dibattito giornalistico e questo, lungi dal farmi piacere, rafforza il mio stupore per la totale assenza di iniziativa parlamentare e politica attorno al tema che può far precipitare la situazione verso gli esiti della fallimentare esperienza tedesca degli anni venti. Stagione che si concluse tragicamente con l’avvento di Hitler, sospinto dal consenso dei tedeschi. Quando una democrazia non riesce a esprimere governi stabili e dunque riforme e decisione, finisce con il soccombere. Bisognerebbe amare la storia per saperlo, per capirlo. Per questo il dibattito aperto dal direttore Andrea Cangini e le interviste di Cacciari e di Parisi vanno, a mio avviso, nella giusta direzione.
«Guardate che davvero può essere devastante la prospettiva di nuove elezioni nelle quali non ci siano maggioranza e governo possibili. Dico la mia opinione, per quello che vale: sbaglierebbe chi pensasse che il modo migliore di contrapporsi ai Cinque Stelle sia la costruzione , di nuovo, di una grande alleanza ‘contro’. Non sarà il consociativismo a sconfiggere l’antipolitica , sarà il riformismo vero. E fatemi aggiungere che se ora la prospettiva è un sistema proporzionale, con tanti partitini capaci di condizionare il governo e decretarne l’instabilità, con le preferenze, che considero lo strumento più perverso del rapporto tra eletti ed elettori, rapporto che solo il collegio uninominale rende trasparente e virtuoso; se la prospettiva è il ritorno a un partito che sembra la Margherita e un altro che sembra i Ds e a coalizioni eterogenee tenute insieme da logiche di potere; allora non chiamatelo futuro, chiamatelo passato».
Sono le parole che, tornando dopo anni a parlare in una assise del Pd, ho ritenuto, qualche settimana fa, giusto pronunciare. Guardare i sondaggi dovrebbe bastare. Il tripolarismo di questa fase della politica italiana si va stabilizzando con tre blocchi di consistenza quasi pari. Il più forte, anche questo non smetto di farlo notare, è quello della destra, peraltro priva di leadership. Nessuno dei tre ha, secondo le previsioni, la maggioranza. Nessuno dei tre si può alleare con altri. Dunque? Se le cose andranno così si tornerà di nuovo a votare. Una follia pura, data la situazione del Paese. In fondo è già successo nel 2013 ma allora una legge orrenda, ora cassata dalla Corte, ha comunque costituito una maggioranza. Oggi con un proporzionale puro l’Italia sarebbe ingovernabile. Questa è la semplice verità. E poi: davvero in questo Paese qualcuno ha nostalgia dei governi fatti non dai cittadini ma dai partiti? Ne abbiamo avuti cinquantasei in cinquant’anni. E allora esistevano partiti forti, strutturati, non effimeri. Erano gli stessi che avevano fatto la Resistenza, per capirsi.
Ma ora, con partiti Kleenex, che nascono e muoiono in una stagione, con un trasformismo parlamentare ridicolo, con scissioni quotidiane che diavolo sarebbero governi di coalizione parlamentare? Per me la democrazia moderna è fatta di tre elementi: i cittadini che scelgono un governo che dura cinque anni, un esecutivo che possa decidere e governare una società in rapido cambiamento, un parlamento che eserciti con severità il controllo sul comportamento del governo.
Manca poco, alla scadenza naturale della legislatura. Ma la politica sembra ignorare che i rischi sono elevatissimi. Il proporzionale sembra andare bene a molti, spero non a tutti. Rafforza il potere dei gruppi dirigenti, consente rappresentanza frammentata e molecolare, con le preferenze aiuta il potere di condizionamento di lobby e poteri. Weimar è davvero dietro l’angolo. C’è poco tempo. La storia tende a ripetersi. Anche cento anni dopo.