Roma, 27 gennaio 2025 – Nulla, anche in politica, nasce e cresce nello spazio di un mattino. Il Movimento sociale partì nel 1992 per diventare quella che nel 1995 a Fiuggi fu chiamata Alleanza Nazionale. È quanto sta accadendo probabilmente all’erede di quella svolta, Fratelli d’Italia. Nel solco di una continuità di collocazione, a destra, e di abiure strutturali, del fascismo, ovvio, ma anche dell’anti-americanismo e dell’ostilità all’Occidente. E che abiura, se guardiamo ai rapporti che la Meloni e il governo hanno con gli Usa, la granitica collocazione a fianco di Kiev nella guerra con Mosca, il sostegno senza se e senza ma a Israele, apparente contraddizione per chi aveva Mussolini nell’album di famiglia.
Trent’anni sono una lontana era geologica in un mondo che va ai mille all’ora e nel quale i punti di riferimento storici sono oramai oggetti d’antiquariato. Dunque, è inutile avventurarsi in un parallelo tra Fini e Meloni, tra il percorso coraggioso del primo e quello altrettanto in salita della seconda. Si può dire però che il triennio di maturazione che portò a Fiuggi, ha qualche somiglianza con il biennio di governo a Palazzo Chigi. Non c’è dubbio, infatti, che FdI di oggi non è la stessa dell’ottobre 2022. Parliamo soprattutto di Giorgia Meloni, non tanto di un gruppo dirigente in formazione, con rare esperienze di governo nazionale e locale, in un partito passato in un baleno dal 3 al 30%.
Certo, la premier resta una donna di destra. Dunque è normale che non piaccia a tanti. La carica, però, ne ha allargato la visuale, modellato in parte idee e comportamenti: oggi l’abbraccio a Trump fa il paio con quello a von der Leyen. Non a caso, mentre FdI si ricentra, Salvini si "radicalizza" occupando spazi lasciati liberi all’estrema. A 30 anni da Fiuggi, resterebbe da ragionare sul tema più "attuale": il fascismo, il ritorno, la minaccia. Ma oggi abbiamo deciso di parlare solo di cose serie.