Roma, 29 ottobre 2019 - Di buon mattino Giuseppe Conte prova ad alzare la posta per impedire che la slavina umbra si tiri dietro il suo governo: ragazzi datevi una calmata perché così si va a sbattere. Non ha detto proprio così, ha usato espressioni più forbite, ma la sostanza della telefonata con Di Maio e Zingaretti è questa. È tanto preoccupato, il premier, quanto deciso a nasconderlo. "Sarebbe un errore interrompere questo esperimento per via di una regione che ha il 2% della popolazione nazionale" osserva a caldo. Il tentativo di minimizzare non riesce, anzi suona come una clamorosa gaffe che Salvini non manca di sfruttare. La sconfitta era nell’aria, ma l’avvocato indicato da M5s è convinto che a peggiorare la situazione sia stata la rissosità delle forze di maggioranza sulla manovra. E non gli sfugge d’essere stato l’oggetto delle frecciate sia di Renzi, palesemente ostile, sia dell’amicone Di Maio.
I risultati sono andati però al di là delle più fosche previsioni, tanto che c’è il rischio che un Movimento maciullato dalle urne diventi del tutto incontrollabile. Ed è proprio quel quadro temuto che sembra emergere dai messaggi lanciati da Di Maio. Senza contare i guai personali del premier: un attacco da parte del principale quotidiano finanziario europeo che collega il suo nome a un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un’indagine per corruzione non è un segnale rassicurante. Come non sono rassicuranti i messaggi che arrivano da Washington dove il ministro della giustizia Barr potrebbe nei prossimi giorni smentire la versione del capo del governo sugli incontri di agosto tra i vertici dei servizi segreti italiani e lo stesso Barr.
Dopo una notte insonne, Conte prova a cavarsela con leggerezza: «Io in discussione? Ho il sole, il cielo, il mare...», svicola citando Modugno. Ma l’illusione di riuscire a tenere la situazione sotto controllo si dissolve nell’istante in cui il leader pentastellato scarica il Pd e invoca qualcosa di «nuovo» per far ripartire l’esecutivo. Per poi tirare addirittura fuori dal cilindro il contratto, un foglio dove mettere nero su bianco le cose da fare e quelle da evitare. Insomma: cancella l’intera prospettiva di una futura alleanza politica. Ma senza quell’orizzonte a tener insieme la maggioranza resta solo la paura di Salvini. Un gancio troppo fragile per un governo appeso ad un filo, dove il ruolo del premier si ridurrebbe all’osso e il sogno di sedare la rissa continua tra i giallo-rossi si trasformerebbe in un miraggio.
Ecco perché Conte prova a gettare litri d’acqua su un incendio che inizia a divampare: "L’esperimento non ha funzionato, si può migliorare. Lascio la libertà ai leader delle varie forze politiche di fare le valutazioni ma chiedo anche di prendersi del tempo per riflettere. Rifarei mille volte la foto di Narni: il governo sarà valutato nel 2023, per quello che ha fatto". Però, ammonisce, "serve spirito di squadra".
Fin qui sono parole che il segretario del Pd sottoscriverebbe una per una, ma al Nazareno il clima è ancora più bellicoso e l’irritazione cresce assieme alle dichiarazioni dinamitarde di Di Maio. Stavolta Zingaretti non usa perifrasi, diventando apertamente minaccioso: «O nell’alleanza c’è un comune sentire, oppure sarà meglio trarne le conseguenze». Ovvero, andare al voto, come specifica Orlando. Perché l’idea di un nuovo governo alla quale ha più volte alluso Renzi e che gode di ampia circolazione nei corridoi del palazzo (dove rimbalza il nome di Draghi) è in realtà una chimera. Una strada impraticabile anche per il Colle. A rinforzare la posizione del leader Pd ci si mette anche Bettini che di voce in capitolo ne ha parecchia essendo il padre nobile dell’operazione che ha portato alla costituzione della maggioranza: "O si cambia registro o le elezioni sono inevitabili". Il Pd vorrebbe mettere di fronte all’aut aut tutti i riottosi alleati in un vertice di governo tra oggi e domani, che dovrebbe servire a trovare l’intesa sui nodi ancora aperti sulla manovra.
L’ipotesi che circola al Nazareno sarebbe quella di portare al tavolo misure condivisibili per l’intera maggioranza, che dovrebbero qualificare una finanziaria fin qui senz’anima. Come un allargamento del cuneo fiscale, di natura tale da aprire uno spiraglio anche per il salario minimo caro a Di Maio. Prima però è necessario creare le condizioni perché la riunione non assuma i toni di una verifica dell’alleanza, assai rischiosa. Sono ben consapevoli, peraltro, a Palazzo Chigi che con una raffica di prove regionali alle porte, con Renzi che non ha intenzione di entrare nella coalizione, e Di Maio convinto ormai che la sua sopravvivenza passi per l’affrancamento dal Pd e con un M5s lacerato dal conflitto tra bande, quello del governo sarà comunque un percorso ad ostacoli.