Soltanto la settimana prossima, quando Ursula von der Leyen, comunicherà i nomi dei commissari e le deleghe rispettive, sapremo se Giorgia Meloni avrà vinto la sua battaglia europea. Fino a qualche giorno fa molti la davano perdente: da presidente del Consiglio si è astenuta sul nome del presidente della Commissione e da leader di FdI ha detto ai suoi di votare contro von der Leyen a Strasburgo. Ma la politica è più complessa di come sembra. Formalmente la Meloni nel primo voto ha voluto mantenersi equidistante tra Tajani (favorevole) e Salvini (contrario) e nel secondo ha mantenuto una sua coerenza perché aveva sempre detto che non avrebbe votato insieme a socialisti e verdi. In realtà il dialogo tra ‘Giorgia’ e ‘Ursula’ non si mai interrotto e se soltanto ieri, ultimo giorno utile, il governo ha indicato il nome secco di Raffaele Fitto come commissario è perché soltanto da poco la Meloni ha raggiunto la convinzione che l’Italia avrebbe avuto un ruolo pari al suo peso. Fitto è apprezzato a Bruxelles più di quanto gli italiani non immaginino: per il suo equilibrio, la sua esperienza e la sua affidabilità.
Von der Leyen voleva Fitto perché con cui ha un eccellente rapporto personale e politico. E se Meloni se ne priva nel governo è perché è sicura che l’Italia giocherà nella serie A della Commissione. Altrimenti avrebbe fatto un altro nome. “Voglio vedere l’Italia tra i paesi che guidano l’Unione”, ha detto Manfred Weber dopo il colloquio con la Meloni. Weber è il leader del Ppe e il fatto che si esprima così nei confronti di una nazione a guida conservatrice significa che i giochi a Bruxelles e a Strasburgo sono più complessi e variabili di quanto non si immagini. Scommettiamo che su molti temi chiave i Popolari voteranno con i Conservatori e non con i Verdi? Se il gioco delle vice presidenze non penalizzerà l’Italia (non lo crediamo), se due deleghe chiave per l’Italia come la Coesione e il Pnrr andranno a Fitto, l’Italia uscirà dalla trattativa a testa più che alta.