Roma, 22 febbraio 2024 – Qual è l’istantanea che raffigura davvero la situazione della maggioranza? La sagra dell’amicizia e della compattezza che va in scena a Cagliari, officiata soprattutto dal leader più sospettato di manovre divisive, Matteo Salvini? Oppure, quella di Roma dove oggi, salvo ripensamenti in extremis del Carroccio, nella commissione Affari costituzionali del Senato andrà in scena la spaccatura del centrodestra con affossamento dell’emendamento leghista sul terzo mandato per i governatori al decreto legge sull’Election Day? Quello sui sindaci verrà molto probabilmente ritirato: "Se il parere del governo dovesse essere negativo, non ci mettiamo contro", spiega infatti il capo dei senatori, Massimiliano Romeo. Quello sui presidenti di Regione invece no. "Su questo, non facciamo passi indietro", dice ancora il leghista. Forse per dimostrare al governatore del Veneto, Luca Zaia, che il Carroccio si è battuto sul serio: in fondo i tre firmatari dell’emendamento (Paolo Tosato, Erika Stefani e Mara Bizzotto) sono tutti di provata fede zaiana. Oppure – ipotesi per Giorgia Meloni ben più allarmante – per rendere chiaro di chi sarà la colpa se il voto di oggi avrà poi esiti disastrosi in Veneto nel 2025. La spaccatura, peraltro, sarà tanto più palese e clamorosa se passerà la proposta tattica del Pd a tutta l’opposizione: disertare la commissione proprio per rendere ancora più visibile la lacerazione nella destra.
Giuseppe Conte punta i piedi: preferisce la bocciatura esplicita. Tanto per cambiare al Nazareno si innervosiscono e, per una volta, si può capire la reazione. La stessa Lega è consapevole di quanto l’assenza della minoranza amplificherebbe il fattaccio e non le dispiace più di tanto, perché "così emergerebbe in piena luce l’incapacità di mediare della premier", sussurrano da quelle parti.
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Certo: è possibile che il leader M5s ci ripensi. Ma amplificata o meno la spaccatura ci sarà: per renderla meno "dolorosa" il governo – che deve sempre esprimere un parere sui testi che vengono votati – non dirà né sì né no, ma si rimetterà alle scelte della Commissione. E così, il quesito sul vero stato della maggioranza si ripropone. La risposta è che le due immagini sono entrambe vere. La divisione c’è, ma come profetizza una vecchia volpe del Parlamento qual è il capogruppo al Senato di Forza Italia Maurizio Gasparri "non ci sarà alcuna lacerazione". Anche perché le probabilità che passi la provocazione lanciata dal renziano Davide Faraone al centrosinistra, di votare l’emendamento del Carroccio "per mandare sotto Meloni" sono pari a zero. Comunque sia: bocciato l’emendamento, a palazzo Chigi sono consapevoli di dover trovare un modo per risarcire Zaia. Sanno perfettamente che ritrovarsi contro il governatore uscente sarebbe disastroso. Insomma, la tensione di questi giorni continuerà ad accumularsi fino al momento della verità, che non è vicino.
Capiterà quando si tratterà di decidere a chi andrà il Veneto, come verranno compensate Zaia e la Lega se, come sembra, sarà Meloni ad esprimere il candidato. Storia lontana. E tuttavia i sospetti che circolavano nei giorni scorsi sia a Palazzo Chigi sia a via della Scrofa su una possibile coltellata di Salvini, cioè l’invito al voto disgiunto per affossare Paolo Truzzu dicono molto su quanto alto sia il nervosismo. Quel sospetto è probabilmente infondato anche perché Salvini non ha alcuna intenzione di provocare sfracelli con l’Autonomia differenziata ancora in ballo e, se anche volesse tentare un colpo di testa in Sardegna, non avrebbe i voti per farlo.
Se ci saranno sorprese amare per la destra sarà per scelta del Partito sardo d’azione, che non ha digerito la defenestrazione del presidente uscente Christian Solinas. Insomma, l’incidente di oggi non è finto ma non è neppure destinato a deflagrare in breve tempo. Salvo sconfitta del candidato della destra in Sardegna. In quel caso, e solo in quel caso, i nodi arriveranno al pettine subito.