Roma, 9 novembre 2023 – Il conto alla rovescia è agli sgoccioli. Mancano ventiquattro ore, e il nervosismo cresce vertiginosamente al Nazareno. Quella che si svolgerà sabato nella capitale a piazza del Popolo è la prima manifestazione nazionale dell’era Schlein, la segretaria della ’svolta a sinistra’. La piazza è la prova del budino: un insuccesso, tipo quello registrato un anno fa per la chiusura della campagna elettorale per le politiche, sarebbe esiziale. Proprio alla vigilia capita però che, alle preoccupazioni ovvie, se ne aggiungano altre nuove e impreviste. La prima il Pd se l’è andata a cercare. L’attacco al premier albanese è stata una mossa tanto poco felice da spingere il partito a una retromarcia repentina.
Si sa: l’accordo siglato da Edi Rama e Giorgia Meloni al Pd non è proprio piaciuto. Qualcuno però è andato oltre, evocando una sospensione del Pssh (la formazione del leader albanese) dal Pse in cui sta come osservatore. Una linea non condivisa né da Elly Schlein né dalla pattuglia europea del Pd e, soprattutto da una parte dei socialdemocratici dell’Unione. Una doccia gelata, peraltro a ridosso del congresso del Pse che inizia oggi a Malaga. Di qui, la frenata dal responsabile esteri democratico, Giuseppe Provenzano, che secondo indiscrezioni, avrebbe sponsorizzato la mossa. "Non abbiamo fatto una richiesta formale di espulsione – spiega – abbiamo solo posto un tema politico. Diremo alla presidenza dei socialisti di trattare il tema della compatibilità di un accordo lesivo dei diritti e gravemente sbagliato con i principi del socialismo europeo". Rama, che non parteciperà all’appuntamento di Malaga, nel frattempo twitta: "Cercare di aiutare l’Italia in questa situazione dove nessuno in Europa sembra avere una soluzione condivisibile da tutti, forse non è il massimo ma il minimo che l’Albania deve e può fare. Se poi questo non è di sinistra in Italia pazienza. Sembra che non sia neanche di destra in Albania", aggiunge prendendo atto della correzione del Pd.
Ma quello legato al capo del governo di Tirana è in realtà un cruccio minore. Il guaio è che la manifestazione convocata il 5 ottobre capita quando a far palpitare il cuore del popolo di sinistra non c’è, come previsto la manovra, ma la riforma del premierato - e sin qui tutto bene - e la guerra di Gaza. E qui invece le cose bene proprio non vanno. La segretaria e il gruppo dirigente hanno deciso di evitare tutte le bandiere, salvo quelle della pace e del Pd. A motivare la scelta, ufficialmente, la paura di veder spuntare bandiere di Hamas. "In quel caso – spiegano al Nazareno – la notizia diventerebbe quella, non la manifestazione". Nota un ex ministro democratico: "Tra migliaia di persone, è quasi scontato che qualcuno venga con una bandiera palestinese o israeliana per vedere l’effetto che fa. Non ne farei una preoccupazione eccessiva". In effetti, le manifestazioni che si sono svolte le scorse settimane hanno dimostrato che quel rischio è limitato. Ciò che in realtà teme il Nazareno è una trasformazione del raduno in una kermesse non più contro il governo ma soprattutto contro Israele. Questo all’interno del Pd di problemi ne creerebbe in quantità. Il silenzio della segretaria sulla politica estera in fondo è dettato proprio dal non potersi muovere senza scontentare qualcuno. E c’è di più: una manifestazione centrata soprattutto sulla guerra di Gaza potrebbe aprire le porte a slogan incresciosi e imbarazzanti, di quelli, nelle manifestazioni precedenti, se ne sono sentite a iosa. Arturo Scotto minimizza l’indicazione sulle bandiere: "Che problema c’è? Mi metto a cercare la mia vecchia bandiera per la pace e se la trovo vada in piazza con quello". Più caustico Nico Stumpo: "In fin dei conti, siamo il partito del ’ma anche’".
Ecco perché al timore di un eventuale flop si è sommato quello di uno snaturamento della piazza, come dimostra il panico tra i dirigenti a domande precise sul tema. Le risposte sono elusive, tutti spauriti di fronte all’ipotesi di "presenze estremiste". Contingenze sfortunate? Sì, ma non solo e non soprattutto. Il problema è piuttosto la confusione del partito, specie in materia di politica estera, e la difficoltà di Elly di affrontare il tema di petto anche a costo di arrivare allo scontro con l’una o l’altra parte dei due fronti. L’alternativa è il limbo, e di un Pd paralizzato nel limbo può avvantaggiarsi solo il papabile alleato che però soprattutto è un competitor: il Movimento 5stelle e il suo leader Conte.