Non si ferma lo scontro sul tax credit per il cinema, il credito di imposta nato nel 2017 per finanziare le produzioni italiane. Dopo la decisione di giovedì scorso del Tar del Lazio di sospendere cautelativamente il provvedimento, sono scese ieri in campo le opposizionio, con il Pd e il M5s che hanno chiesto al ministro della Cultura, Alessandro Giuli, di riferire al più presto in Parlamento.
"Venga in aula e ci dica come intende applicare il decreto", scandisce dai banchi del M5s il deputato Gaetano Amato intervenendo nell’aula della Camera. Ad associarsi alla richiesta anche il collega dem Matteo Orfini: "Chiediamo anche noi un’informativa urgente del ministro Giuli sulla crisi del cinema", ha detto il deputato Pd. "Non parliamo di un settore residuale dell’economia italiana, ma di un settore con circa 180 mila lavoratori che da quasi un anno sono fermi", ha evidenziato invece Orfini.
La situazione resta incandescente. Anche perché sul settore è da tempo che si sono accesi i fari su una gestione a dir poco "allegra" del credito di imposta. Era stato l’ex ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, qualche mese fa, prima delle sue dimissioni, a dar fuoco alle polveri, denunciando abusi e storture di un meccanismo che sembra fatto apposta, spiegano gli esperti del settore, per far lievitare alle stelle i costi delle produzioni.
Come a dire: più spendi, più incassi incentivi. Michele Lo Foco, avvocato, membro del Consiglio superiore della cinematografia e dell’audiovisivo, non ha dubbi: "Un film medio italiano costa fra i 3,7 e i 3,8 milioni – spiega a Qn –. Giusto per fare un esempio, l’ultima opera del maestro Pupi Avanti presentata a Venezia, non ha superato i 3,1 milioni. Come è possibile che altre produzioni arrivano a costare anche dieci volte di più? È evidente che qualcosa non funziona".
Anche senza scendere nella valutazione del film che arriva nelle sale. Per ‘Ictu Oculorum’ di Saverio Costanzo si sarebbero speci circa 29 milioni di euro. ‘Il Ragazzo con i pantaloni rosa’, che sta riscuotendo per la verità un buon successo nelle sale, si attesta sui 10 milioni. Un film di Nanni Moretti può raggiungere anche i 14 milioni di euro. Senza contare un altro dato ancora più clamoroso: dei 459 film sostenuti tra il 2022 e il 2023 con il tax credit, oltre 345 non sono mai usciti in sala.
La verità, spiega sempre Lo Foco, che ha appena pubblicato un saggio dal titolo che non lascia margini di dubbio, ‘Morte del cinema italiano’ è che con queste regole il mercato è stato del tutto falsato, con l’ingresso in forze delle società stranieri, che si sono letteralmente tuffate nel business. Magari inserendo nel Cda qualche rappresentante del bel Paese. Del resto, in sei anni, il tax credit è costato alle tasche dei contribuenti qualcosa come 3,5 miliardi di euro, con un fiume di centinaia di milioni finito proprio nelle casse delle aziende estere.
Ora si attendono, ovviamente, le decisioni del governo. Il Tar per ora ha accolto il ricorso per la sospensione del decreto rinviando all’udienza di marzo per discutere il merito della sentenza. Ma lo stop ha messo in allarme il settore. In Italia sono operative 9mila imprese (per lo più piccole e medie imprese molto colpite dai ritardi nell’emanazione dei decreti direttoriali sul credit tax), che creano 65mila posti di lavoro, più ulteriori 114mila nelle filiere connesse. Il fatturato totale è di 13 miliardi l’anno. C’è poi il cosiddetto effetto moltiplicatore, cioè per ogni euro speso da investimenti pubblici o privati sul settore, si genera un ritorno di 3,54 euro.
"Non era un settore in crisi, ma è stato mandato in crisi dal Governo che per quasi un anno ha paralizzato le regole sul tax credit e, non emanando le regole, ha impedito a quelle produzioni di lavorare. Poi, qualche mese fa, il Governo ha tirato fuori norme che stravolgevano i principi e cancellavano dal mondo del cinema le produzioni indipendenti", ha sentenziato il deputato dem Matteo Orfini.