Lo strappo si consuma in mattinata, poco dopo le 10, nell’auletta della Commissione Bilancio del Senato. È qui che la maggioranza va sotto sull’emendamento proposto dalla Lega, appoggiato dal FdI e condiviso dal governo, che proroga per un altro anno il taglio del canone Rai da 90 a 70 euro. Una lunga e serrata trattativa non è stata sufficiente a convincere i due senatori di Forza Italia, Dario Damiani e Claudio Lotito, a evitare di votare contro il provvedimento insieme all’opposizione. Tutto inutile. Alla fine la conta dice 12 no e solo 10 sì. Per la Lega è una brutta sconfitta. E i senatori del Carroccio si vendicano subito dopo, quando sono loro, questa volta, a votare insieme all’opposizione per bocciare un emendamento firmato dagli Azzurri sulla sanità in Calabria. "Schermaglie", spiegano a Palazzo Chigi. Ma il disappunto della premier, Giorgia Meloni, è evidente. E traspare nella nota che l’esecutivo lascia filtrare subito dopo la spaccatura in Commissione: "Il governo è fortemente impegnato nel sostegno a famiglie e imprese, operando sempre in un quadro di credibilità e serietà. L’inciampo della maggioranza sul tema del taglio del canone Rai non giova a nessuno".
Sono proprio le ultime quattro parole a far scattare nei duellanti, Matteo Salvini e Antonio Tajani, l’ordine di abbassare i toni e tornare nelle rispettive carreggiate. Poco prima, i due, si erano scambiati accuse al vetriolo. Aveva cominciato lo stesso leader della Lega: "Stiamo lavorando per abbassare le tasse, il canone Rai è una di queste, ma non è la nostra attività centrale. Forza Italia non vuole abbassare? Mi spiace, non per la Lega ma per gli italiani per cui quella tassa avrebbe potuto essere tagliata". Poi, la stoccata finale, citando "l’amico Berlusconi": "Anche lui riteneva il canone Rai una gabella da limare". Mentre, dall’altra parte, Tajani ribatte che il Cavaliere aveva detto invece a Salvini di lasciar perdere sul canone. E ancora: "Noi non abbiamo votato un emendamento che prevedeva il taglio del canone Rai di 20 euro perché lo consideravamo sbagliato e non utile ad abbassare la pressione fiscale. Bisogna trovare 430 milioni dal bilancio per finanziare la Rai. Con quei soldi invece si possono tagliare veramente le tasse. Non c’è nessun inciampo all’interno del governo". Per quanto riguarda i rapporti con la famiglia Berlusconi, Tajani precisa: "Io considero Piersilvio e Marina degli amici. Non mi faccio dare ordini da nessuno. Non c’entra niente Fininvest".
Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, stampella centrista della coalizione, minimizza: "C’era una diversità di vedute che, com’è fisiologico in una democrazia, è stata risolta con un voto". Insomma, la parola d’ordine resta quella di minimizzare. Completamente diversa la lettura dell’opposizione che spara ad alzo zero. Per la leader Pd, Elly Schlein, "la maggioranza è in frantumi e le divisioni evidenti. Sono allo sbando, troppo impegnati a litigare tra loro, a competere anziché governare il Paese. E intanto non si occupano della salute e dei salari, dei problemi concreti degli italiani".
Duro anche il capogruppo dem in Senato, Francesco Boccia: "Mi pare evidente che il governo non c’è più, sono tutti contro tutti, il governo aveva dato parere favorevole ed è andato sotto". Il numero uno del M5s, Giuseppe Conte, vuole chiarimenti dal premier: "Divisi in Europa, sulla politica estera e anche in Parlamento, con la maggioranza che non ha i numeri in Commissione e va sotto: l’unità professata da Meloni è un altro film di fantascienza girato a Chigi", scrive sui social. "La premier chiarisca se esiste ancora la maggioranza. I cittadini non hanno tempo da perdere: mentre loro litigano c’è un Paese che soffre in attesa di un provvedimento contro il carovita, di una visita in ospedale, un treno che non passa". Il voto sul dl fiscale slitta a oggi in Senato, con il ricorso alla fiducia. Mentre la manovra arriverà in Aula il 13 dicembre, con un giorno di ritardo sulla tabella di marcia.