Salvini forza, la premier smorza. Il capo leghista prova a incalzare su tutti i fronti, Giorgia ridimensiona le tensioni, catalogandole come ordinaria amministrazione: "Ci sono sfumature diverse, che però considero un valore aggiunto. Rimane che stiamo insieme per scelta e quando c’è da trovare le soluzioni, alla fine le troviamo. Vedo più nervosa l’opposizione della maggioranza". L’intervista della presidente del Consiglio al Tg5 arriva quando l’offensiva del Carroccio è avviata da ore. Mentre è in corso il vertice di maggioranza sul Milleproroghe per affrontare la questione degli agricoltori, Salvini dalla Capitale riunisce in video collegamento lo stato maggiore del partito, e si lancia all’attacco: alzare l’esenzione Irpef sopra i 10mila euro, approvare la proposta della Lega sul controllo dei prezzi e dei costi di produzione, accelerare i provvedimenti per limitare i danni provocati dalla fauna selvatica. Il Capitano si scaglia in particolare contro i negoziati dell’Europa con il Sudamerica. "L’intesa con i Paesi del Mercosur danneggia i produttori italiani". E non risparmia la solita frecciata ai danni dell’alleata europea numero 1 dell’amica Giorgia: "Mai con chi ha messo in ginocchio gli agricoltori".
Sembra un ruggito, in realtà il vicepremier abbatte una porta già aperta: sul fronte dei trattori più che sfumature diverse, è in corso una gara a chi si accredita prima e meglio come rappresentante istituzionale delle proteste. "Gli agricoltori hanno ragione, le loro richieste sono le stesse del governo italiano, ma l’Europa è dirimente. Il voto dell’8 e 9 giugno per modificare lo stato delle cose farà la differenza", afferma la premier e se suona come sfacciata propaganda elettorale poco male, benché lei precisi che "il modo migliore per fare propaganda elettorale è governare bene". Infatti, già dalla mattina il titolare dell’Economia Giorgetti (Lega) in tandem con il suo vice Leo e i ministri Ciriani e Lollobrigida (tutti di FdI) erano alla ricerca di una via d’uscita: l’annuncio arriva poco dopo la sparata del Capitano. Un taglio dell’Iperf del 50% per i redditi dai 10 ai 15mila euro, mentre per quelli al di sotto dei 10mila resta confermata l’esenzione. Insomma, l’agguerrita uscita di Salvini sembra fatta apposta per rivendicare il merito della modifica che il ministro Lollobrigida vorrebbe rendere semistrutturale garantendone la vigenza a medio termine. Il Carroccio esulta a stretto giro: "Bene lo sgravio, l’emendamento del governo al decreto Milleproroghe sull’Irpef agricola accoglie lo spirito delle proposte che la Lega avanza da giorni". Dall’altra parte della barricata, spegne la protesta ’Riscatto agricolo’, che accetta di sedersi al tavolo permanente istituito al dicastero da Lollobrigida: "Pronti a smobilitare il presidio a Roma", annuncia Maurizio Senigagliesi, uno dei portavoce. Ma altre sigle no.
Non che il fronte trattori sia l’unico in cui il Carroccio prova a pressare: di buon mattino presenta un emendamento al dl Elezioni in esame al Senato che porta da 2 a 3 i mandati per i governatori e per i sindaci indipendentemente dal numero di abitanti dei Comuni. Qui però uscire a testa alta, rivendicando un successo anche parziale è molto più difficile: il terzo mandato per i governatori, più precisamente per Zaia dal momento che quello è il problema per il Carroccio, o c’è o non c’è. Tutto lascia pensare che non ci sarà. La premier resta decisa a non cedere: a bilanciare la mossa leghista, FdI presenta un emendamento allo stesso decreto per far sì che l’8 e il 9 giugno gli studenti che seguono l’Università in una città diversa dal luogo di residenza possano andare alle urne dove vivono. Certo, sul tetto ai mandati le cose potrebbero cambiare se il Carroccio disponesse di qualche sponda, ma non è cosi. Buona parte del Pd considererebbe l’approvazione di quell’emendamento una mano santa, taglierebbe gordianamente nodi soffocanti in Puglia, in Emilia-Romagna, in Campania. Ma sono chimere.
Elly la segretaria è contrarissima e di sponde lì non ce ne saranno. Come non ce ne saranno da parte dei Cinquestelle che vorrebbero maglie ancora più strette, e neppure si presterà Tajani che sogna di piazzare nel Veneto il suo Tosi. Del resto gli stessi leghisti ci sperano poco: provare ci si deve provare, ma la situazione è quella che è. In ogni caso i tre leader affronteranno probabilmente la spinosa faccenda giovedì, quando è in agenda un consiglio dei ministri. Al vertice di FdI non sono particolarmente preoccupati nemmeno per questa querelle, considerano il nuovo affondo leghista più che altro una carta da giocare poi nella contrattazione per le candidature nelle regionali e soprattutto in quelle per i comuni in ballo nel 2025. Le tensioni ci sono e molto più corpose di quanto la premier non voglia far credere ma al momento effettivamente sono sotto pieno controllo. Se le cose cambieranno sarà solo dopo i risultati delle Europee e in conseguenza dei suoi esiti.