La vita è questione di attimi. A volte di ore. L’Italia vuole salvare Indi Gregory. La bimba inglese di appena 8 mesi, colpita da una malattia mitocondriale considerata "incurabile" dai sanitari e dalla magistratura britannici, da ieri alle 14 è (anche) cittadina italiana. Un Cdm straordinario le conferisce la nazionalità a tutela di "preminenti valori umanitari", appena due ore prima del previsto distacco dalle macchine. "Dicono che non ci siano molte speranze per la piccola Indi, ma fino alla fine farò quello che posso per difendere la sua vita. E per difendere il diritto della sua mamma e del suo papà a fare tutto quello che possono per lei", dichiara la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. "Viva la vita! Orgoglioso di questa scelta coraggiosa del governo", aggiunge il vice Matteo Salvini, leader della Lega.
Ora associazioni cristiane inglesi ed esponenti pro vita italiani caldeggiano l’accoglimento della richiesta di trasferire Indi al Bambino Gesù (con spese di viaggio a carico dei familiari e degenza offerta dallo Stato italiano). "Sono ore frenetiche – commenta Simone Pillon, ex senatore leghista e avvocato dei genitori –. A nome della famiglia, ringrazio di vero cuore Giorgia Meloni e tutti i ministri per la celere concessione della cittadinanza. I familiari si augurano che questo provvedimento possa favorire una collaborazione tra le autorità sanitarie britanniche ed italiane e permettere il rapido trasferimento. In ogni caso da oggi a Indi spettano tutte le tutele che il nostro ordinamento mette a disposizione dei cittadini, prima tra tutte quella del diritto alla vita".
L’esito dell’istanza è tutt’altro che certo. Indi, di nazionalità italiana e britannica, è tuttora ricoverata al Nottingham’s Queen Medical Centre, sotto giurisdizione inglese e con cartella clinica senza speranze: "Le cure sono inutili e le causano dolore". Inevitabile – anche in base alla giurisprudenza nazionale – la scelta dell’Alta Corte di aderire alla sospensione dei trattamenti vitali. Posizione condivisa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ora il regalo dell’Italia riapre l’orizzonte di Claire Staniforth e Dean Gregory, genitori di Indi – originari di Ilkeston in Derbyshire. La sentenza del 2 novembre sulla prima richiesta di trasferimento al Bambino Gesù non depone tuttavia a favore: "Non c’è nulla che suggerisca che la prognosi di Indi Gregory sarebbe modificata in modo positivo dal trattamento dell’ospedale italiano".
La vicenda richiama alla memoria il caso del piccolo Alfie Evans, affetto da gravi problemi cerebrali e morto all’età di tre anni, nel 2018, all’ospedale pediatrico Alder Hey di Liverpool, sopravvivendo alcune ore al distacco delle macchine e poi tornando in ventilazione meccanica fino alla decisione finale del giudice: indifferente sia all’appello di Papa Francesco per "nuove forme di trattamento", sia alla concessione in extremis della cittadinanza italiana (ad opera del governo Gentiloni).
"L’accanimento clinico non è consentito nel nostro Paese. La vicenda della piccola Indi sembra configurarsi in questa fattispecie", mette in guardia Lorenzo D’Avack, già presidente del Comitato nazionale per la bioetica di cui è ancora componente. Il Sole24ore.it riporta da Lapresse il parere del professor Andrea Crisanti, ex Imperial College, ora senatore Pd: "Portare in Italia la piccola Indi è una inutile crudeltà". "Parole vergognose – secondo Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita onlus –. L’unica crudeltà sarebbe staccare la spina, uccidere la piccola Indi che può essere accompagnata nella sua malattia". Crisanti ha un’altra idea: il governo si sta facendo "solo pubblicità a buon mercato sulla pelle dei genitori della bambina".