Milano, 12 giugno 2023 – Silvio Berlusconi per la metà degli italiani è stato una sola cosa: il nemico numero uno.
Nei tribunali, nelle piazze, nei salotti intellettuali, per gli orfani della sinistra morale di Berlinguer non è stato solo l’avversario da battere ma ha incarnato il male assoluto. Per 20 anni non è stato possibile essere ambigui: o eri con lui o contro di lui.
Caimano nel film cult di Nanni Moretti. Cavaliere del bipolarismo, di un mondo spaccato in due, che certo non si è riappacificato per esaudire il suo ultimo desiderio politico: quello di salire sul Colle più alto. Anzi, il destino ha voluto che proprio il maschio alpha della Seconda Repubblica sia stato costretto nei suoi ultimi anni a riconoscere la leadership della “non ricattabile” prima premier donna, Giorgia Meloni, la quale, mettendosi nella testa di Silvio, sempre una sua creatura è, almeno dai tempi in cui le fece fare la ministra della Gioventù.
“Sono stato l’uomo più processato dell’universo”, andava ripetendo Berlusconi. Le “toghe rosse”, sua dannazione, gli diedero il benvenuto fin dall’esordio in politica, quando nel novembre 1994 ricevette un invito a comparire dalla procura di Milano, mentre stava presiedendo una conferenza mondiale all’Onu. E lui: “Se non mi arrestano, vincerò le elezioni perché contro di me è in atto un colpo di Stato”.
Fininvest, Mediaset, Lodo Mondadori, la condanna in via definitiva per frode fiscale che lo portò alla decadenza da senatore nel 2013, i processi non lo hanno mai abbandonato.
Ma anche l’ultima vicenda giudiziaria, quel caso Ruby declinato fino al “ter“, che si è poi concluso con l’assoluzione lo scorso febbraio, non lo ha piegato del tutto. Era un “maestro delle strategie difensive delatorie”, pungeva la sua acerrima nemica pm Ilda Boccassini. E allora “si faccia arrestare lei”, ribatteva l’imprenditore prestato al Palazzo, un palazzo da cui si sentivano le proteste dei girotondini. Per Berlusconi i pm erano il “cancro della democrazia” e proprio non capiva perché la Consulta continuasse a bocciare i suoi scudi legislativi.
Ma sarebbe sbagliato circoscrivere questa guerra civile solo alle Aule e ai toni da campagna elettorale permanente. La sfida fu quasi antropologica. Rossana Rossanda nel 2006 scrisse sul Manifesto un’invettiva contro gli italiani “indegni” che avevano votato per Berlusconi solo perché difendeva il loro portafogli e poi avevano l’”ardire di andare in giro per strada, in autobus e sul treno”.
Per contro, il Cav quelli di sinistra non li ha mai capiti. Non tanto per le idee, dato che fu Berlusconi l’erede di quella parte politica che si riconosceva in Craxi. Non li comprendeva proprio nell’approccio alla vita. I post comunisti per lui erano amanti delle tasse e dunque “coglioni”, guerrafondai, gente che “godeva a fare il male”, “che si lava poco”, gli scappò detto una volta suscitando una battuta di Bersani: “Per forza, siamo puliti, noi”. “Quelli lì sono sempre incazzati, io invece ogni mattina mi sveglio e dico allo specchio che mi
piaccio”, scherzava. Michele Santoro si rifiutò una volta di stringere la mano in trasmissione al Cavaliere. Ma il re delle tv private rispondeva con il cabaret, facendo il gesto di pulire la sedia di Travaglio.
Gli eredi del Pci non “mangiavano bambini” ma di certo non perdonarono nulla al 4 volte premier. Da Grillo fu demonizzato come “psiconano”. “Sappiamo tutto sulle sue inchieste e delle sue intercettazioni”, scrisse Paolo Mieli. Non fu mai digerita la sua ricchezza. Roberto Benigni gli dedicò una canzone: “Può comprare tutto, anche il mar Mediterraneo”.
Nell’aprile 2011, sulle note di Bella ciao il popolo viola con Antonio Di Pietro, Pd, e movimentisti lesse col megafono le 37 leggi ad personam: sentenze di condanna emesse in pubblica piazza.
Forse solo Romano Prodi, che lo sconfisse due volte, riuscì a mantenere con lui il confronto sul piano politico: per lui era un avversario alla pari. I loro duelli in tv registravano share da mondiali di calcio. Infatti a casa, a guardarli, non c’erano elettori ma tifosi. “Ha governato il Paese al servizio della sua impresa”, scandiva Prodi. “Toglierò l’Ici sulla prima casa”, sparava il capo del centrodestra quando ormai non c’era più tempo per replicare.
Berlusconi, per un pezzo d’Italia (anche fuori dai confini), era un compra-peones, l’istrione del Bunga Bunga. “Non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni” dichiarò l’ex moglie Veronica Lario su Repubblica, il giornale dell’arcinemico De Benedetti che lanciò la campagna delle dieci domande contro il Cav. Molte donne si indignarono per la sua vita privata, mentre per i berlusconiani quello era solo pornogiornalismo.
Sorprendenti furono il bagno di folla tra i partigiani il 25 aprile 2009 a Onna, il patto del Nazareno con Matteo Renzi, il governo tuttifrutti di Draghi, dove il Pd su molti temi andava quasi più d’accordo con gli eredi di Silvio, eppure fu proprio Berlusconi a far cadere SuperMario. Forse, chissà, una sveglia risuona un po’ tardivamente dalle parti della sinistra.
“Non se ne può più – ha scritto Roberto Saviano – di chi da 25 anni giustifica la propria esistenza in opposizione a Berlusconi”. Ma ormai così è andata.