L’immigrazione, eterno cavallo di battaglia della destra, si rivela ogni giorno di più il terreno minato su cui si muove a stento il governo. Sia in Italia che all’estero. Lo scontro innescato dalla sentenza di Catania resta al calor bianco: le critiche mosse dal centrodestra alla giudice Iolanda Apostolico che non ha convalidato il trattenimento di quattro migranti nel centro di Pozzallo non vanno giù alle toghe. "L’esecutivo mina l’indipendenza del potere giudiziario", tuona l’Associazione nazionale magistrati. Accusa simile è vergata nero su bianco nella richiesta depositata al Csm da 13 consiglieri (ma i 7 membri di Magistratura indipendenti si sono sfilati) di aprire una pratica a tutela di Apostolico vittima di "attacchi che ledono l’autonomia della categoria" a causa di un provvedimento che ha emesso. Provvedimento che il governo si appresta a impugnare: per il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ci sono "fondate ragioni" per fare ricorso in Cassazione, d’intesa con il Viminale nei 60 giorni previsti.
Da Torino, la premier prova ad abbassare la tensione che potrebbe investire anche il Colle. Lo fa non dal palco del festival delle Regioni, ma parlando con i giornalisti a margine, in modo da rivolgersi direttamente all’opinione pubblica: "Non c’è nessuno scontro: la magistratura è libera di disapplicare una legge del governo, e il governo è libero di dissentire. Ognuno ha la sua autonomia di pensiero. La mia riguarda una sentenza specifica". Giorgia Meloni sembra essersi resa conto che un attacco come quello di lunedì a un livello di aggressività forse mai raggiunto da Silvio Berlusconi può rendere inevitabile quella battaglia finale con la magistratura che lei ha dato in più occasioni prova di voler evitare. A spingere è Salvini che ha messo sul tavolo la posta più alta: la separazione delle carriere. Ma il fronte interno, con i guai che comporta, è meno accidentato di quello estero.
La tempesta immigrazione sconvolge l’intera Europa tanto più dopo la vittoria del sovranista Robert Fico in Slovacchia. Ad annunciare un aumento dei controlli alla frontiere con questo paese, sono Polonia, Repubblica Ceca e Austria: l’obiettivo è bloccare i flussi irregolari in arrivo da Sud e da Est. Una ferita profonda inflitta a Schengen. Aumenta il caos, il no del presidente tunisino, Kais Saied, ai fondi europei: è impressione diffusa che tiri la corda perché non gli bastano i 60 milioni di euro disponibili da questa settimana. È lesto ad usare il rifiuto il presidente del consiglio Ue, Charles Michel, per attaccare di nuovo il Memorandum firmato a luglio da Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni e Mark Rutte. "È una chiara lezione, il coinvolgimento degli Stati membri è fondamentale per il successo". Coinvolgimento che Giorgia vorrebbe per quel piano Mattei che presenterà il 6 novembre, nel vertice di Roma con i paesi Africani.
Tant’é: per l’Italia la spina più acuminata è quella dei rapporti con la Germania. Domani inizierà il vertice informale a Granada, in attesa di quello ufficiale del 26-27 ottobre a Bruxelles. Dopo il fallimento dell’accordo sul patto dell’immigrazione, molti auspicano una ricomposizione domani nella città spagnola. I tecnici dei ministeri dell’Interno di Roma e Berlino si sono dati da fare per trovare una mediazione. Ma alla vigilia di ottimismo ce n’è ben poco. La divaricazione è su un punto centrale: il ruolo delle ong. La questione è dirimente se non sul fronte dei salvataggi in cui il ruolo delle navi non governative e è limitato, sul fronte della propaganda elettorale. Per il governo tedesco buttare a mare chi salva i migranti non è possibile, per il governo italiano salvare chi è stato fino a ieri dipinto come complice di scafisti, è fuori discussione. Per provare a trovare la quadra dovranno forse scendere in campo i pesi massimi: Olaf Scholz e Giorgia Meloni.