Bergamo, 7 marzo 2018 - Il primo senatore nero d’Italia è stato eletto nella Lega, a Bergamo. Toni Iwobi, 62 anni, imprenditore informatico, era in lista per la proporzionale, terzo, con Roberto Calderoli e Daisy Pirovano, figlia di Ettore, ex senatore, ex sindaco di Caravaggio. Nato a Gusau, in Nigeria, quinto di undici fratelli, ha vissuto negli Stati Uniti, dove ha studiato informatica. Trentotto anni fa l’arrivo in Italia con un permesso di studio per l’università a Perugia. Sposato con una bergamasca e padre di due figli, abita a Spirano. Nel comune della Bassa bergamasca è stato consigliere di opposizione, poi assessore ai servizi sociali e capogruppo leghista. E’ responsabile della Lega per l’immigrazione.
Balotelli contro il senatore nero della Lega. "Vergogna"
Senatore Iwobi ... «Basta solo Toni. Rimango Toni. E’ una cosa inaspettata. Se anche soltanto sei mesi fa mi avessero detto che sarei diventato senatore, non ci avrei creduto. Questa mattina mi sono svegliato e ho chiesto a mia moglie se mi vedesse con una faccia diversa. No, mi ha risposto. Allora sono sempre Toni. Mia moglie mi ha raccomandato di rimanere la persona pacata di sempre, di non essere oggetto di strumentalizzazioni».
Come ha scoperto la Lega? «Nel 1990, quando ho scoperto un principio che mi è piaciuto: il federalismo fiscale. E’ stato quello il motivo forte della mia adesione. E poi la coerenza con cui la Lega ha portato avanti il suo progetto politico in questi anni. Rimarrò fedele alla Lega fino alla fine».
In particolare, cosa condivide del progetto? «Il federalismo fiscale. L’autonomia delle regioni. Quello delle autonomie regionali è l’unico sistema politico che può salvare il Paese o almeno risanare le diversità».
Cosa risponde a chi definisce razzista la Lega? «La Lega non è mai stata razzista. Dobbiamo partire da un punto: è razzista chi pensa di essere superiore all’altro e per questo vuole prevalere sull’altro. Invece non è razzismo difendere cultura, tradizioni, confini. E’ buonsenso. E’ rispetto per il proprio popolo, la propria appartenenza».
Com’è la sua esperienza di responsabile per i problemi dell’immigrazione? «Ho preso a cuore l’incarico dal primo momento in cui l’ho ricevuto dal segretario federale. L’immigrazione è nel Dna dell’uomo, mentre la clandestinità non ha niente a che fare con l’immigrazione».
Condivide il principio dell’aiutarli a casa loro. «Non è uno slogan. Aiutiamoli a svilupparsi a casa loro con degli investimenti reali, lasciamo i popoli liberi di crescere, di svilupparsi, senza dominarli. Quando il mondo occidentale ha cercato di dominare quello africano, è nato il razzismo».
Personalmente, ha mai avuto problemi in Italia? «I problemi personali, quelli generali, li abbiamo tutti, anche nei Paesi di origine. In questi quarant’anni in Italia ho più ricordi belli che non. Anzi, pensandoci, non ho ricordi di cose non belle. Vuol dire che non ce ne sono state. Dipende dall’individuo. Se uno arriva nel Paese ospitante e rispetta la gente, la cultura, le tradizioni, allora il rispetto gli viene ricambiato e diventa reciproco».
A chi dedica questa vittoria? «A mia moglie che mi ha sempre sostenuto, ai miei figli e soprattutto ai miei suoceri che non ci sono più e che hanno portato a compimento la mia accoglienza».
Al Senato su cosa pensa di impegnarsi? «Mi rimetto alle decisioni del partito. Una cosa ho ben chiara: non dimenticare il territorio da cui provengo, le persone che mi hanno dato questa possibilità. Voglio fare altrettanto per loro. Il mio territorio, la mia comunità, il mio paese. Non smetterò mai di ringraziarli insieme con il segretario federale. Se non fosse per loro, non sarei qui».