Giovedì 21 Novembre 2024
SILVIA MASTRANTONIO
Politica

"Usano la scuola per fare politica". Giannini: basta coi vecchi privilegi

Il ministro: «Ai sindacati non interessano i contenuti della riforma»

Il ministro Stefania Giannini (Lapresse)

Il ministro Stefania Giannini (Lapresse)

Silvia Mastrantonio

Roma, 5 maggio 2015 - «C’È LA CAMPAGNA elettorale e credo esista la volontà di fare della ‘Buona Scuola’ una battaglia politica, al di là dei contenuti». Alla vigilia del grande sciopero della scuola il ministro Stefania Giannini preferisce «non drammatizzare». «Noto che non si colgono gli aspetti innovativi mentre si sottolineano questioni che non esistono».

È stata accusata di aver mancato sul confronto.

«Abbiamo scelto di mandare il provvedimento in Parlamento per dare spazio al dibattito. Un grande sforzo di dialogo con maggioranza e opposizione».

Però si parla di una tagliola sugli emendamenti.

«Ci sono delle ammissibilità tecniche da tenere presente».

I grillini hanno lasciato i lavori per il limite di due emendamenti per ciascun articolo.

«Combattiamo l’ostruzionismo, cerchiamo il confronto. Si tratta di una svolta importante per la scuola italiana. Fa paura l’autonomia? Fa paura la valutazione? Non voglio credere che sia così. Anche creare concorrenza tra gli istituti serve a migliorare il sistema, compresa la formazione dei docenti che non c’è o meglio, è meno qualificata che altrove».

Insegnanti meno qualificati. In altre occasioni ci sono state polemiche perché li ha definiti squadristi e maggioranza abulica.

«Lo ‘squadristi’ non era rivolto agli insegnanti. Mi riferivo a un metodo e a poche persone che mi hanno contestato. Sulla maggioranza dei docenti diciamo che la considero silenziosa, meno attiva nel manifestare il proprio pensiero».

Però allo sciopero annunciano di essere tanti.

«La scuola è considerata una questione politica. Da qualcuno viene vista come un bene esclusivo dei professori mentre è un bene centrale della società tutta».

I sindacati parlano di assenza di concertazione.

«Tre volte sono stati in riunione con me, da settembre a gennaio. È stato un confronto serrato con l’arroccamento su alcune posizioni che ricordano stagioni ormai passate. Come si spiega la protesta per l’assunzione di 100.000 precari? Come si giustifica il rifiuto alla chiusura della stagione del precariato storico? È un’agitazione che non ha presupposti».

Lei come lo interpreta?

«Come ho detto, difesa di posizioni antiche. Potevo ancora capire quando i fondi non c’erano. Lo scetticismo ci poteva stare. Ma adesso che sono stati assegnati 3 miliardi e non tutti per le assunzioni e 4 miliardi per l’edilizia scolastica, non capisco».

Fanno paura i super presidi?

«I presidi sceriffi, tanto per capirci, non esistono. Esistono dirigenti di istituto che dovranno obbedire a quella che chiamiamo ‘l’etica della responsabilità’, figure che avranno la delega alla sintesi finale, alla decisione, attraverso strumenti che già possiedono ma che non sono stati mai applicati. Anche per la valutazione dei docenti. È un grande cambiamento e comprendo che gli insegnanti siano spaventati ma anche l’operato dei presidi sarà contrassegnato dalla trasparenza totale. Su ogni decisione. Una garanzia fondamentale per le famiglie».

I presidi sono preparati?

«Buona parte sì. Dovrebbero essere preparati fin dalla Legge Berlinguer che è rimasta inattuata per la mancanza dei tre principi fondamentali: autonomia reale che si raggiunge anche con l’organico funzionale; valutazione; risorse».

Per l’assunzione dei 100.000 si arriverà al decreto?

«Stiamo lavorando silenziosamente. La scadenza massima è metà giugno, entro quella data il Ministero, con un grande sforzo, riuscirà a garantire il corretto avvio del nuovo anno scolastico. Siamo consapevoli che se dovessero insorgere ostacoli si dovrà cambiare via».

Chi ci tiene di più a questa riforma, Giannini o Renzi?

«Alla pari direi ma non 0 a 0, facciamo 1 a 1».

Al centro ci sono gli studenti ma neanche loro hanno capito: aderiranno allo sciopero.

«Molti sono universitari e quindi non coinvolti direttamente. All’Università ci penseremo dopo. Ma dai giovani che ho ascoltato non ho raccolto critiche di merito».

Non è che sono tutti come Mattia Sangermano, lo studente degli scontri di Milano definito «pirla» dal padre?

«Ma no, e poi anche lui ha corretto le sue affermazioni. Non si può generalizzare. Era un po’ confuso, credo sia un ragazzo migliore di come è apparso in quell’intervista».