Sabato 23 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Scontro istituzionale. De Luca scende in piazza. Meloni: vada a lavorare. Lui sbotta e la insulta

Il governatore campano guida la protesta dei sindaci a Roma. La premier: "Si dia da fare anziché manifestare". La replica: servono i soldi. Ira del centrodestra. Schlein in imbarazzo, ma non si espone personalmente.

Scontro istituzionale. De Luca scende in piazza. Meloni: vada a lavorare. Lui sbotta e la insulta

Scontro istituzionale. De Luca scende in piazza. Meloni: vada a lavorare. Lui sbotta e la insulta

Fantastica la regia. Vincenzo De Luca seduto su un divanetto di Montecitorio smette di sorseggiare un crodino e arringa alcuni cronisti. Con toni stentorei, dice che senza soldi la Campania non va da nessuna parte. "È una Regione che non si piega, non ci resta che la battaglia sociale, sperando che basti". Qualcuno gli allunga il cellulare: sullo schermo ci sono le parole appena pronunciate dalla premier a Gioia Tauro. "Se invece di fare le manifestazioni ci si mettesse a lavorare, forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più". Alla voce fuori campo che l’attacca, replica con veemenza il governatore: "Stronza, lavori lei". E perché fosse chiaro che non era una dichiarazione sfuggita di mano ripete: "Senza soldi non si lavora. Stronza".

Diretta smartphone all’ora di pranzo a Montecitorio. Così gli italiani da casa vedono come funziona. Non capita tutti i giorni, pur nel deteriorato panorama della nostra politica, sentire un presidente di Regione insultare senza perifrasi il capo del governo: la parolaccia assicura a De Luca massima visibilità. Non che ce ne fosse grande bisogno. La sua manifestazione a Roma dei sindaci campani organizzata per lo sblocco dei fondi coesione ("ma lui non è stato collaborativo", incalza la premier), aveva avuto grande successo e, grazie alle doti sceniche del governatore, elevata risonanza mediatica. Di sindaci ne sono arrivati circa 300, con amministratori vari (anche di regioni vicine) si giunge a 1.500, cifra ragguardevole. Manca all’appello il primo cittadino di Napoli, Manfredi, perché spiega è "uomo di dialogo". Comunque, ha spedito in sua rappresentanza l’assessora Teresa Armato. Figura invece in primo piano il sindaco di Benevento, Clemente Mastella, solidale con il governatore in nome della sua città e del Sud.

I partecipanti sfilano per la centralissima via del Corso, chiedono inutilmente di essere ricevuti al ministero della Coesione: Fitto è in Calabria con la premier per la firma di un accordo con la Regione proprio sui fondi coesione. La folla si assiepa di fronte al portone di Palazzo Chigi. Per un attimo si teme addirittura la carica, De Luca cerca interlocutori ("avete il numero di Piantedosi, se non è in ferie?") e si affida alla sceneggiata napoletana: "Chiedete che qualcuno venga qui a parlare, altrimenti ci dovete caricare, ci dovete uccidere". Ma i manganelli restano al loro posto, i primi cittadini defluiscono e lui, infine, soddisfatto si accomoda in Transatlantico e la butta sul sarcastico: "Al ministero tutti stakanovisti, non c’era nessuno pare". L’appiglio per il fuoco d’artificio finale con la dichiarazione di Meloni arriva in quel momento. Grande levata di scudi nel centrodestra ("squallida esibizione", il governatore "ha insultato la democrazia", "attacchi sessisti" e così via); molti dentro FdI chiedono alla sinistra e soprattutto a Schlein di stigmatizzare gli insulti. Lei non si espone personalmente, ma lascia che a parlare sia Marco Sarracino, responsabile per il Sud: "Sono toni assolutamente non condivisibili che rischiano di far passare in secondo piano una battaglia giusta".

La manifestazione ufficialmente era sui fondi di coesione, ma è il governatore assieme ai presenti ad allargare il raggio: nel mirino c’è l’Autonomia differenziata. De Luca è a Roma per dimostrare chi la combatte davvero in piazza affrontando se del caso le forze dell’ordine, in puro stile Masaniello: "L’Autonomia calpesta il Sud, è una legge truffa, Meloni chieda scusa", urla. È una prova muscolare perfettamente riuscita: ma rivolta a chi? Senza dubbio al governo, perché nel Meridione moltissimi amministratori sono decisi a dare battaglia sul tema. Ma anche, se non soprattutto, la sfida è indirizzata a Elly Schlein – benché nel Pd si affannino a negarlo – la segretaria che lui poco ama del suo partito. La posta in gioco è il terzo mandato.

De Luca non ha ancora intenzione di cedere. E fa capire a Elly che, se si arriverà alla spaccatura, ovvero a candidature contrapposte all’interno del centrosinistra, la Campania sarà con lui. Nel suo caso la legge sul tetto dei due mandati non basta a fermarlo: la sua Regione (come la Puglia di Emiliano) non l’ha recepita a differenza di Veneto e Emilia. I cancelli per la sua candidatura sono spalancati, sempre che il governo non invochi chiarezza sulla norma. E d’altra parte, se anche gli fosse impedito di correre, De Luca non faticherebbe a trovare un prestanome e a far convergere su di lui i voti di cui dispone. Il dilemma di Elly è tutto qui: la segretaria può ignorare gli amministratori Pd in rivolta, e continuare la sua battaglia solo accettando il rischio di perdere nel 2025 Regioni di peso come Campania, Puglia e Emilia-Romagna. Se sulla sfida del terzo mandato Giorgia si gioca molto, Schlein rischia anche di più.