Bologna, 19 novembre 2024 – Molto più extra-dem che extra-large il campo di centrosinistra. Stanno qui le ragioni del successo elettorale e insieme l’handicap politico della vittoria della coalizione progressista in Emilia-Romagna e Umbria. Un successo a trazione Pd. Che vampirizza gli alleati riformisti e moderati ancor più che di sinistra e che Schlein può ascrivere alla propria segreteria contrassegnata dalla radicalità dei contenuti e della tenace pratica unitaria. Ma che si giova dell’insediamento della propria classe dirigente locale nella raccolta delle preferenze per riscuotere un en plein dove le due anime del partito, quella riformista e quella radical, si intrecciano molto più di quanto non voglia la pubblicistica.
A cominciare dal 42% dell’Emilia-Romagna, ma anche dal 31 umbro, stravince infatti il partito delle preferenze alle e gli esponenti e dirigenti locali, del “buongoverno”, ma anche dei piccoli e grandi potentati, come della rappresentanza di specificità. Il Pd del pluralismo interno, insomma: che nel voto locale riesce ancora a rappresentare e interpretare interessi e bisogni materiali più di un’astratta professione di “valori”. Con buona pace del “passo indietro dei partiti” chiesto da Luigi Di Maio 5 anni fa all’insegna delle candidature civiche.
In fondo la segretaria lo dice e rivendica francamente intervenendo a Bologna per celebrare il successo di Michele De Pascale: “È la vittoria della coesione di una coalizione – dichiara –. E anche del nostro partito”. Più del partito, anzi, che della coalizione. Dove pagano tutti dazio ai dem: dai 5 Stelle, che però cedono poco più di un punto, essendo rimasti intorno al 4/5% anche nel 2020 sia in Emilia che in Umbria, ad Avs, che cede rispetto alle Europee ma tiene rispetto a 5 anni fa, ai Riformisti, che nel 2020 non c’erano ma rimangono all’1,7% sotto il Po e al 2,3 nell’Umbria verde.
Lista col quartetto di simboli centristi – ma gli emblemi a due, tre, quattro ruote non hanno mai funzionato alle elezioni – è quella che paga di più. Ma il magro risultato basta a Matteo Renzi per rivendicare all’insegna della “matematica” che “il centrosinistra unito vince e diviso perde”. Sulla stessa lunghezza d’onda, Carlo Calenda, si complimenta per la vittoria in Umbria del “profilo serio, moderato” di Stefania Proietti. E da Azione si compiacciono di “aver contribuito” a vincere. Tuttavia “la riflessione è aperta” nel campo moderato, che non riesce proprio a farsi valere nel campo largo. Paradossalmente, infatti, i dem si avvantaggiano proprio della combinazione tra la radicalità liberal della segretaria e l’efficienza del radicamento della dirigenza riformista, che tirano ambo preferenze.
Discorso che non può riprodursi alle politiche con liste bloccate. Anche se l’aporia par essere proprio il fatto che il partito schleiniano si avvantaggia del mix tra la crescente personalizzazione impressa dalla leader radical e l’insediamento della classe dirigente riformista, vampirizzando tutti gli alleati. Discorso diverso per il Movimento di Giuseppe Conte, che continua nel declino iniziato con le Europee, anche se le Amministrative 2020 non erano state affatto lusinghiere. La questione è tutta politica. E il movimento ne discuterà nell’assemblea costituente del prossimo weekend a Roma. Dove si confronteranno due visioni: quella che vorrebbe deporre l’ascia di guerra col Pd per lavorare al campo progressista e quella che invece esorta a tornare ad essere autonomisti; l’una preferita dai vertici romani e Conte, l’altra caldeggiata da parte della base e da qualche guastatore romano, come Rocco Casalino, portavoce di Conte che non lesina critiche sin troppo esplicite al proprio assistito.
La costituente sancirà l’atteso chiarimento dell’impasse che blocca il Movimento, comprensivo forse di qualche defezione. Ma i parlamentari in prevalenza non vedono “margini fuori dal bipolarismo”. Anzi. Rispetto a un governo di destra come quello Meloni, il M5s contiano punta a valersi del fatto che il Pd non può esimersi dalle alleanze e necessita i vero di copertura a sinistra ben più che del riformismo che già incarna. Regionali docent.