Roma, 21 maggio 2024 – Cielo, risorge il confronto? A rivitalizzare il tormentone, è Giorgia Meloni in un’intervista a ‘Mattino Cinque’: "Mi dispiace sia saltato. È un’occasione persa. Ha dato fastidio a qualcuno (Giuseppe Conte e Antonio Tajani, ndr ), ne prendo atto. Lo faremo in altro modo". E tutti a chiedersi quale marchingegno abbia in mente.
In realtà, dicono nel suo giro che la premier pensi a qualcosa di molto più tradizionale: un duello a distanza, basato su comizi e dichiarazioni. La voluta ambiguità mira probabilmente a tenere alta l’attenzione del corpo elettorale per evitare un astensionismo di massa. Oramai per i partiti le campagne elettorali non si basano sul tentativo di rubarsi voti a vicenda, ma sul fatto di convincere i propri elettori potenziali ad andare alle urne. Per la stessa ragione, la premier ricorda ai disattenti che "anche se non ci occupiamo di Europa, l’Europa si occuperà di noi per i prossimi cinque anni". Insomma, in guardia.
Il confronto per la presidente del Consiglio e leader più eminente, almeno in questo momento, della destra europea è l’ultima preoccupazione. Il vero problema è tenere in equilibrio due esigenze che appaiono contraddittorie: come leader conservatrice non può rinunciare alla polemica con questa Europa, che "ti dice come cucinare insetti autoctoni, quale macchina guidare, quali tecnologie utilizzare".
Come premier di un Paese, che quanto a conti pubblici è nei guai fino al collo, non può essere tagliata fuori dalla scelta della presidenza e della composizione della prossima Commissione europea. In fondo, la differenza tra lei e gli altri partiti, non solo quelli radicali del gruppo Identità e democrazia ma anche gli altri conservatori. È che lei guida un governo gli altri no. Cinque anni fa le parti erano rovesciate e infatti allora il PiS polacco votò per Ursula von der Leyen, come è deciso a non fare ora, e FdI all’opposizione no. Sia ben chiaro, continua: "Se l’Europa arranca non è colpa della presidente uscente, ma della sua maggioranza".
E poi, argomenta non senza tendenziosità, è così rilevante? "Noi ci stiamo a impiccare sul nome del presidente ma la vera sfida è costruire una maggioranza diversa da quella che abbiamo visto negli ultimi cinque anni". Una maggioranza che replichi il modello italiano: "Voglio alleare in Europa partiti compatibili tra loro e mandare all’opposizione la sinistra. È una sfida difficile, che però si può centrare".
Solo che per quanto riguarda la presidenza della Commissione quella sfida è persa in partenza e a Palazzo Chigi lo sanno tutti da ’Giorgia’ ("è un trucco che ho chiesto di votarmi scrivendo il mio nome? Che devo dire: Giorgia Meloni...detta Sbirulino?") in giù. Prima della prossime presidenziali è impensabile che Marine Le Pen voti a braccetto con Macron. E per tutti i partiti europei, inclusa Forza Italia, l’Afd tedesca è da mettere al bando. Non tanto per le sue posizioni di estrema destra quanto per quelle sulla guerra in Ucraina. Certo, per Tajani lo stigma non colpisce la Lega ma per il resto d’Europa invece sì.
Insomma sulla presidenza Chigi ha già deciso che se il nome indicato dal Consiglio sarà appena potabile lo voterà, anche con i socialisti, e anche in contrasto con il resto della destra europea. Per il progetto di spostare l’Europa a destra ci vuole tempo: quello necessario perché Marine Le Pen, ora a metà del guado, completi la trasformazione atlantista del suo Rassemblement, perché nella Lega prevalgano – con qualsiasi segretario – gli umori europeisti maggioritari nel partito del Nord e forse persino che l’Afd, una volta affermatosi come partito di massa in Germania. decida di darsi una ripulita. Ma di un successo elettorale di FdI, dei conservatori e dell’intera destra Giorgia Meloni ha bisogno ora. Per evitare che il liberale Macron e il socialista Scholz le facciano lo scherzetto di costringere il Consiglio a indicare una presidenza per lei inaccettabile.