Qualche problema, anche all’interno della maggioranza, l’emendamento che equipara gli stipendi dei ministri "tecnici" a quelli che, invece, sono stati eletti in Parlamento lo aveva creato. Per i partiti della maggioranza si trattava di un atto di giustizia. Per l’opposizione di una mossa che mette a confronto i 7.300 euro di aumento mensile previsto per i rappresentanti dell’esecutivo con gli spiccioli dati ai sindacati. Da qui prima la decisione di trasformare l’emendamento in una proposta che sarà presentata direttamente dai relatori, lasciando l’ultima parola all’Aula, poi di ritirare l’emendamento per "evitare inutili polemiche" come chiesto da Guido Crosetto. "Quello che non sarebbe comprensibile per nessuna altra professione e cioè che due persone che fanno lo stesso lavoro, nella stessa organizzazione, abbiano trattamenti diversi, per chi fa politica deve essere messo in conto", la sua spiegazione. Altro tema che scotta è quello della cosiddetta "norma anti-Renzi", vale a dire l’emendamento che di fatto azzera la possibilità per i membri del parlamento e del governo di avere retribuzioni o "gettoni" da società o enti che hanno sede all’estero. L’incasso previsto è di 1,3 milioni di euro. Nel caso in cui non venisse dichiarata la retribuzione scatterebbero anche le multe.
PoliticaVerso la manovra. Tour de force fino al voto. E salta l’aumento per i ministri