Giovedì 21 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Sardegna, trema il fortino Meloni. Il caso del voto disgiunto e i sospetti sulla Lega

I leader della maggioranza si vedono a pranzo, ma il clima tra loro è teso. I moderati gettano acqua sul fuoco. Ma Forza Italia avverte: si deve riflettere

Roma, 27 febbraio 2024- È una brutta giornata per il centrodestra, ma è una giornata nerissima per Giorgia Meloni. Perché è lei che ha scelto Paolo Truzzu. Perché è lei che ha puntato sulla Sardegna per regolare i conti con la Lega. E perché è lei che ha visto interrompersi quella che finora è stata una cavalcata trionfale: nell’isola è caduto il mito della invincibilità della ’donna sola al comando’. È lei che rischia di subire i maggiori contraccolpi, è lei che inizia a temere una reazione a catena per le prossime regionali in Abruzzo e in Basilicata. E soprattutto, per le Europee di giugno.

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Tant’è: "Non ci saranno ripercussioni su governo e maggioranza", mettono le mani avanti Antonio Tajani e Maurizio Lupi quando lo scrutinio è ancora in corso. Però il leader di Noi Moderati aggiunge: "Il voto potrebbe essere un utile spunto di riflessione". E della necessità di "riflettere" aveva parlato poco prima anche il capo dei senatori azzurri, Maurizio Gasparri (FI). Riflettere in politica è una parola infida, di solito significa rinfacciarsi colpe ed errori. Non a caso, i tre leader pranzando insieme a Palazzo Chigi hanno deciso di trincerarsi dietro il silenzio proprio per "evitare polemiche". E di polemiche possibili ce ne sono a bizzeffe.

L’errore di Giorgia, che ha scelto il candidato – malgrado fosse tra i sindaci meno popolari d’Italia – sulla base della comune appartenenza politica alla generazione Atreju invece di valutare le sue chance di vittoria. Ma non è che la Lega possa puntare il dito: all’origine della sconfitta c’è anche la disastrosa esperienza dell’amministrazione Solinas, cioè del governatore che era espressione del cartello tra il Carroccio e il Partito sardo d’azione. Ad uscirne meglio, in fondo, è Forza Italia, che conferma nelle urne quello che i sondaggi già indicavano: il partito è riuscito a sopravvivere alla scomparsa del suo fondatore. Anche per questo gli azzurri sono i più decisi a "riflettere" sulla scelta sbagliata di FdI che ha penalizzato l’intera coalizione. Nonostante la cordialità e i sorrisi a pranzo, tra i soci della destra impera il sospetto. I meloniani sono convinti che il Carroccio abbia dato indicazioni per il voto disgiunto, anche se i numeri autorizzano il dubbio fino a un certo punto. I leghisti, furibondi, ritengono che sia in atto una manovra di accerchiamento anche mediatico ai loro danni nella quale la delegittimazione a mezzo inchiesta dell’asso nella manica, Vannacci, è l’elemento centrale.

Ma a giustificare gli umori nerissimi che campeggiavano nella maggioranza ci sono altri due elementi: prima di tutto, la vittoria di ieri è destinata a cementare la coalizione fino a questo momento ancora in forse tra Pd e M5s. E nei partiti della maggioranza sono tutti consapevoli che adesso si tratta di un contendente temibile. Inoltre sulla mazzata hanno certamente pesato la rissa sul candidato arrivata praticamente sino alle soglie del voto. Tutti lo ammettono, e assicurano di volerlo evitare nelle prossime prove, con Tajani che rilancia la candidatura di Bardi in Basilicata. Ottime intenzioni, ma con la premier determinata a strappare il Veneto alla Lega seppellendo il terzo mandato per i governatori metterlo in pratica non sarà facile. Più precisamente, sarà impossibile.