Roma, 29 gennaio 2025 – La "linea del Piave", in realtà, doveva essere oggi, quando la Cassazione dirà la parola definitiva sul passaggio del processo per truffa ai danni dell’Inps da Milano a Roma. Oggi, insomma, secondo quello che era lo schema che si era fatta Giorgia Meloni, la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, non avrebbe più dovuto essere tale. Poi, però, la situazione si è complicata per l’irrigidimento della stessa Santanchè e la "moral suasion" di molti, a partire dall’amico Ignazio La Russa, non è andata a buon fine, mentre dentro FdI il malumore sul tema continua a montare. Soprattutto per delle parole nette ("chissenefrega", ndr) che la stessa Santanchè avrebbe pronunciato all’indirizzo di chi, dentro il partito, l’avrebbe già voluta fuori dalla porta. Da tempo.
"I giornali possono scrivere quello che vogliono – ha replicato ancora ieri – anche quelli che non c’erano quando parlavo, ma non scrivere quello che non ho detto; quanto letto su alcuni quotidiani nazionali mi lascia basita. Ricostruzioni fantasiose di mie dichiarazioni che non hanno niente a che fare con me. È evidente che il pregiudizio di certa stampa non si ferma davanti a niente pur di creare una notizia alle spese della sottoscritta. Fortunatamente sono in possesso di una registrazione che dimostra quale sia la verità. Non ho mai detto ‘chissenefrega’ del partito, ma chissenefrega di chi mi critica. Sono una donna di partito ed è evidente che se il mio presidente del Consiglio mi chiedesse di dimettermi io non avrei dubbi".
Oggi, però, parlerà la Cassazione. Se il processo verrà trasferito a Roma, gli atti dovranno essere inviati a piazzale Clodio e il procedimento tornerà indietro alla fase precedente alla chiusura indagine. Altrimenti andrà a avanti. E piuttosto velocemente. Un giorno importante, insomma, quello di oggi, ma se dentro FdI si continua a mormorare, da Forza Italia, dove pure Santanchè ha militato, la sua resistenza viene difesa: "Come ho sempre detto noi siamo garantisti – ha detto il vicepremier Antonio Tajani – è una scelta che deve fare il ministro Santanchè". E ancora Giorgio Mulè: "Riguardo al rinvio a giudizio per falso in bilancio la ministra Santanchè non si dimette e la presidente del Consiglio non ha esercitato alcuna pressione perché lei si dimettesse, e questo dal punto di vista della civiltà giuridica è un fatto ineccepibile". Rispetto, invece, all’accusa di truffa ai danni dello Stato, "la ministra ha detto che nel caso di un rinvio a giudizio, sarà lei stessa a fare un passo indietro. Questo fa tabula rasa e piazza pulita di qualsiasi altra congettura, un atto di responsabilità politica rispetto a un rinvio a giudizio che, lo ribadiamo, non sarà mai e non potrà mai essere un’anticipazione di condanna", ha concluso.
In serata è tornato a parlare sul caso proprio Ignazio La Russa, presidente del Senato: "Sia da ministra che non da ministra, l’amicizia resta a prescindere; al di là del fatto politico siamo amici, c’è una lunga storia di vicinanza con Daniela, anche con Gasparri anche se è rimasto al centro siamo amici, con Fini non siamo stati d’accordo ma siamo amici…". Quindi deve rimanere ministra per amicizia? "Ha detto bene Daniela, l’amicizia prescinde dal fatto politico".
Dal Pd, però, attaccano, con Deborah Serracchiani: "Al di là dell’aspetto giudiziario a noi sembra evidente la responsabilità politica della ministra Santanchè. Siamo in un Paese dove nonostante tre indagini, di cui un rinvio a giudizio per fatti gravi, un ministro non si dimette e resta ancora in carica. La presidente del Consiglio Meloni, che ha chiesto dimissioni anche per molto meno, deve fare i conti con questa vicenda". Stessa Musica da Nicola Fratoianni, Avs: "Santanchè esibisce una sicurezza sospetta e sembra lanciare messaggi in codice alla presidente del Consiglio: “sto arrivando!“ forse che non possono farla dimettere? Perché? Cosa c’è che tiene una ministra indagata per truffa allo Stato ben salda al suo posto? Quel che è certo è che questa destra è ferocemente attaccata alla poltrona e al potere. E che non ha nessun rispetto dei cittadini e della dignità delle istituzioni". Chiude Giuseppe Conte: "Se non hanno la decenza di cacciare dal ministero del Turismo, abbiano almeno la faccia di portarla in Parlamento per la mozione di sfiducia del M5s, in un dibattito di fronte agli italiani".