"Dante padre del pensiero della Destra italiana". A dichiararlo è Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, durante la kermesse milanese di Fratelli d’Italia per le elezioni regionali in Lombardia. "La Destra ha cultura e ha una grandissima cultura. So di fare un’affermazione molto forte: io ritengo che il fondatore del pensiero di destra in Italia sia Dante Alighieri, perché quella visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali che troviamo in lui, ma anche la sua costruzione politica in saggi diversi dalla Divina Commedia, sia profondamente di Destra. Quindi la Destra ha cultura, deve soltanto affermarla", il pensiero del ministro. Che ha però precisato: "Noi non dobbiamo sostituire l’egemonia culturale della Sinistra, che Gramsci teorizzò e poi Togliatti ha costruito negli anni, con quella della Destra ma dobbiamo liberare la cultura. La cultura è tale se è libera, se è confronto e dialettica". Polemiche le opposizioni. Calenda (Azione) è lapidario: "Ma si può?!". Bonelli (Verdi): "Dante voleva uno Stato laico e per questo fu esiliato". Di parole "improbabili" e "analisi caricaturali" parla Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura alla Camera. E il M5s parla di "colossale sciocchezza".
di FRANCO CARDINI
La cultura non è mai stata protagonista del dibattito culturale contemporaneo, né in Italia né altrove: al massimo, alcuni partiti hanno sviluppato in certi periodi un qualche apparato culturale, una “politica culturale” con l’obiettivo del consenso. Il regime fascista, e alcune aree del movimento fascista, furono maestri in questo senso: ma il discorso sarebbe lungo. Oggi, la cultura ha un peso modesto per non dire irrilevante nella società: e la politica si adegua a tale trend.
Il mio caro amico Gennaro Sangiuliano è molto solidale con la linea politica di Giorgia Meloni: la quale è a sua volta sia pur lontana erede – sia detto senza polemica: al contrario! – di un’area del Movimento Sociale nella quale (e ne sono stato testimone diretto fra gli Anni Cinquanta e Sessanta) si faceva molto più cultura, e di molto miglior qualità, di quanto non apparisse all’esterno. È evidente che l’attuale premier ha nelle sue intenzioni una decisa riqualificazione del livello culturale del suo partito. Glielo auguro, per quanto sia legittimo manifestare al riguardo un certo scetticismo.
Con tutto ciò, l’insistere oggi sul binomio politica-cultura, e collegare la cultura alla Destra odierna, appare comunque problematico: specie se s’intende insistere sui parametri “nazionali”. D’altronde, già alcuni anni or sono Massimo Cacciari e qualcun altro fecero scalpore insistendo sul fatto che la grande cultura europea otto-novecentesca fosse stata “di destra”: il che era e resta verissimo, come peraltro resta vero il fatto che il fascismo, almeno quello italiano, si sia proposto come una forza tendenzialmente piuttosto “di sinistra”: e qui aveva ragione De Felice.
Ciò non toglie che Sangiuliano, parlando di Dante come “padre della cultura di destra” in Italia, si dimostri più meloniano della Meloni stessa: e anticipi pericolosamente i tempi, cosa che egli del resto, data la sua ottima preparazione anche storica, sa benissimo. Non si può parlare né di “destra” né “di sinistra” se non partendo dalla situazione della borghesia europea sette-ottocentesca e dai grandi temi della costruzione della nazione moderna e dalla nascita della questione sociale. Al di là di tali scenari, al massimo si potrebbe impiantare un discorso metapolitico: ma si dovrebbe essere arcipapiniani, o straevoliani, per riproporre i parametri di una “destra cosmica”.
Sangiuliano, evidentemente, non ha alcuna intenzione di giungere a tanto. Ma allora il suo discorso su Dante resta singolarmente astratto e contraddittorio. Il pensiero politico dantesco, in termini trattatistici, è valutabile principalmente attraverso un trattato latino, il De Monarchia, e uno – programmaticamente divulgativo, e per giunta incompiuto – in lingua volgare, il Convivio.
Da tali due trattati (il resto della politica dantesca è impegno “di parte” nella politica comunale, e solo con molta fantasia si potrebbe definire l’area “guelfo-bianco/ghibellina” come “di destra“) si deduce che il pensiero politico dantesco si radica profondamente nelle tesi dell’impero “universalistico” di diritto giustinianeo (contrario pertanto alla nascente politica statuale-assolutistica quale la riscontriamo ad esempio nei giuristi “regalisti” di Filippo IV di Francia) e nel concetto di publicum bonum quale emerge dalla trattatistica aristotelico-tomistica. Invano si cercherebbero nell’Alighieri i presupposti “laicisti” presenti ad esempio nell’averroistico Defensor Pacis di Marsilio da Padova, del resto posteriore di diversi anni: mentre al publicum bonum di Tommaso d’Aquino ben si collega – e non contraddittoriamente – l’alto elogio della Povertà come si legge a proposito di Francesco d’Assisi nell’XI del Paradiso.
Se una sfumatura di “destra” c’è, in Dante, essa non ha nulla di filoliberista: anzi, i toni danteschi riguardo la polemica contro l’usura ricordano semmai da vicino ( et pour cause ) quelli usati da Ezra Pound. Quanto al concetto di persona, anch’esso dantesco in quanto tomista, ne va sottolineata la dimensione profondamente “sociale”: il che non ha rapporti con la destra, a meno di non eliminare da essa la componente liberal-liberistica tesa all’”individuo assoluto”.
Il che ci condurrebbe d’altronde, e ne siamo consapevoli, a un’indicazione certo “di destra”: ma di una “destra” ben altra da quella verso la quale la Weltanschauung dei Fratelli d’Italia sembra fino ad oggi tendere. Se poi vogliamo cogliere residui o sottintesi “giustizialisti” ante litteram nella preistoria di alcuni aspetti di un pensiero che ha optato nel tempo per la destra politica, può anche esser vero. Ma allora ci poniamo in un’ottica che davvero potrebbe portar lontano. Era “di destra” Balzac? Era “di sinistra” Dostoevskji?