Roma, 4 settembre 2024 – Sei ricattabile? Fondamentalmente, Giorgia Meloni convoca a Palazzo Chigi Gennaro Sangiuliano per porgli questa domanda. Vuole sapere se dal botta e risposta con la "consulente" Maria Rosaria Boccia possano emergere nei prossimi giorni particolari ancora più imbarazzanti. "Non si può andare avanti con questa telenovela", taglia corto la premier. L’irritazione per una vicenda che può avere contraccolpi sul governo non nasce ora, ma certo non ha migliorato l’umore il fatto di vedersi smentita sui social da "questa persona" (come l’ha definita lunedì sera) dopo che nell’intervista a Rete4 si era esposta in difesa del ministro. Adesso, reclama una parola definitiva dal titolare della Cultura: la collaboratrice ha avuto accesso a documenti riservati come lei ha sostenuto su Instagram? Le sue escursioni con il ministro sono state a spese del Dicastero, cioè del contribuente? "Se questo non c’è, il resto è gossip, e non mi interessa".
Mani dietro la schiena, con la vera nuziale – che di solito lascia nel cassetto – bene in vista, Sangiuliano si presenta all’appuntamento alle 15.50: si incammina verso lo studio della presidente del consiglio negli stessi minuti in cui Maurizio Belpietro, il direttore della Verità – quotidiano amico ma sulla vicenda inflessibile – lascia il palazzo. Giorgia fa ’scontare’ all’ex direttore del Tg2 la nuova tegola che ha lasciato cadere sulla sua testa con una lunga anticamera. Quando finalmente lo riceve va al dunque: "Come stanno le cose?". Nel timbro di voce della premier c’è la tensione di chi pensava di chiudere il caso presto, e invece non c’è riuscita. Sangiuliano squaderna sul tavolo le fatture e le testimonianze che confermerebbero la sua versione. "Mai un euro del ministero è stato impiegato per i viaggi". Quanto ai documenti, giura che nessun atto sensibile è passato sotto gli occhi di Maria Rosaria Boccia. Il confronto dura 45 minuti effettivi: a tratti si fa molto acceso. Se niente smentirà la sua verità, per ora resta ministro. Sorvegliato speciale, s’intende. Sarà il fido sottosegretario Giovanbattista Fazzolari a vigilare su di lui, mentre continuano a circolare identikit per l’eventuale successione, come quello di Alessandro Giuli (ora al Maxxi).
Un’anatra zoppa. Che la premier decide al momento di non mettere alla porta per diversi motivi. Prima di tutto, spingere alle dimissioni un ministro senza che ci sia neppure un ipotesi di reato e solo per l’insistenza delle opposizioni sarebbe una resa che ritiene impensabile e un segnale di debolezza molto pericoloso. Poi c’è già un dicastero vacante, quello del futuro commissario europeo Raffaele Fitto: licenziare il ministro della Cultura per una vicenda allo stato di ben poca importanza e mantenere al suo posto Daniela Santanchè sulla quale gravano ombre ben più pesanti sarebbe difficile, ma con tre ministeri in ballo la premier teme di finire nella giostra infernale del rimpasto, quanto di più aborrito a Palazzo Chigi perché porterebbe a dover gestire le inevitabili richieste degli alleati. Infine, affrontare il G7 della Cultura senza il ministro competente o con un sostituto appena nominato vorrebbe dire esporsi al rischio di una figuraccia su un fronte per lei fondamentale e sul quale ha appena recuperato le batoste subite a luglio. Quello del lustro e della credibilità internazionale. Così, nonostante il tam tam assordante delle opposizioni e la sua irritazione, la premier ha deciso di metterci la faccia addirittura in tv e blindare Sangiuliano, almeno fino al G7.
Sì, perché il problema si pone comunque. Indipendentemente dallo scandalo quel ministero è una delle caselle più deboli del governo, tanto che persino un dirigente di Forza Italia ironizza: "Cultura e destra sono un ossimoro". E non è ancora stata sanata la ferita delle dimissioni di Sgarbi, l’unico bersaglio centrato dalle opposizioni nella chilometrica lista di decapitazioni reclamate. Ma per un passo del genere Giorgia deve aspettare l’occasione adatta e una strada che non suoni come vittoria delle minoranze o ammissione di un limite della sua coalizione. Che, sulla carta, avrebbe voluto togliere il "monopolio" della cultura alla sinistra per renderla "libera e patrimonio di tutti".