Roma, 13 marzo 2024 – Matteo Salvini non usa giri di parole: "Il Veneto era e resterà orgogliosamente leghista anche nel 2025". Scandisce l’annuncio con Luca Zaia al suo fianco: aveva promesso di non demordere, e tiene il punto. Oggi la Lega presenta in Aula al Senato l’emendamento sul tetto ai mandati dei governatori già bocciato in commissione. Una scelta sofferta e per vari motivi. Intanto, di armi per far passare la norma invisa al resto della maggioranza ne aveva già pochine, dopo il magro esito delle regionali ne ha anche di meno. Ma il capo del Carroccio ha deciso di procedere anche senza speranza di vittoria, solo per tenere aperta la questione in caldo per il dopo Europee.
Poi, l’ipotesi di far emergere le lacerazioni del Pd che circolava ancora ieri mattina nelle file del Carroccio è naufragata all’ora di pranzo, quando il capo dei senatori democratici, Francesco Boccia, dichiara: "Ribadiamo la nostra posizione contraria".
Non solo il fedelissimo di Elly Schlein chiude ogni spiraglio (l’ordine del giorno promesso agli amministratori del Pd favorevoli alla deroga non serve a cambiare le regole attuali), ma reclama pure lo stralcio della norma che apre al terzo mandato per i sindaci dei comuni fino a 15mila abitanti (fosse venuta meno, al Carroccio sarebbe mancato l’appiglio per presentare l’emendamento sui governatori) con tanto di minaccia di protestare con il Capo dello Stato: "Basta con questi decreti omnibus, se continua così andiamo dal presidente della Repubblica".
Ma c’era anche un altro motivo che sconsigliava il passo azzardato a Salvini: nel pranzo di lunedì prima del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni era stata tassativa: "In Basilicata rischiamo, bisogna evitare di mostrare divisioni". In effetti il governatore uscente, Vito Bardi, è pericolante: sia la Lega che FdI miravano a sostituirlo con un proprio candidato. La mazzata sarda ha sedato ogni fantasia, e proposto la ricandidatura: ora si tratta di non indebolirlo ulteriormente secondo il pessimo modello sardo. Anche per questo la Lega ha esitato a fare una mossa che rischia di rivelarsi perdente su tutti i fronti. "Ce lo chiedono i territori", si giustifica il capo dei senatori, Massimiliano Romeo. Solo se il governo decidesse di blindare il decreto elezioni oggi con la fiducia, il Carroccio farebbe dietrofront.
Compatta, invece, la maggioranza si mostra sulla commissione d’inchiesta sui dossieraggi emersi nell’inchiesta di Perugia. Tutti i capigruppo lunedì si sono rapidamente uniformati all’imperativo della ’comandante in capo’ chiedendo di fatto di lasciare la materia incandescente nelle mani della commissione Antimafia. Ieri Giorgia l’ha ufficializzato: "Lasciamo lavorare l’Antimafia, poi vedremo se servono altri strumenti. È anche un tema di tempistiche: per istituirla ci vuole qualche mese". Il problema dei tempi dilatati è reale, ma non l’unico. Trattandosi di una commissione d’inchiesta c’era il rischio di doverne cedere la presidenza all’opposizione, e comunque in questi casi il fango schizza sempre dappertutto. A manca, ma anche a destra.
Meglio lasciare le cose come stanno, con buona pace dei ministri Crosetto e Nordio che si sente ripetere l’ennesimo "no", ma anche della Lega a cui la proposta inizialmente era piaciuta molto. Giorgia si rende però conto di non poter umiliare più di tanto l’alleato sconfitto e con le spalle al muro e concede qualcosina in più del punto della bandiera: "L’autonomia andrà avanti. Sono una persona che mantiene gli impegni". Non è piccola cosa, è anzi il solo scudo di cui disporrà Salvini nei congressi lombardo e nazionale della Lega per difendersi dall’attacco dei bossiani sotto gli antichi vessilli stinti della Padania. In realtà con il capo leghista di problema ce n’è anche un altro, tanto inconfessabile quanto universalmente noto.
La premier si vuole candidare, tanto più che la rivale diretta quasi certamente sarà in campo in tutte le circoscrizioni anche se non come capolista. Ci manca solo di dover arretrare dopo aver lanciato il guanto della sfida. Tajani era stato il primo ad annunciare la sua non candidatura, poi ha scoperto di aver il vento in poppa, ha cambiato idea e ora scalpita per figurare capolista. Salvini però non vuole farlo e anche se volesse non potrebbe: troppo alto il rischio. Quindi chiede agli alleati la prova d’amore: sacrificatevi e rinunciate. Il sacrificio è molto doloroso. Giorgia e Antonio ancora non hanno ancora deciso.