Roma, 5 agosto 2019 - Che distanza tra il Papeete di Milano Marittima e quella rustica caserma della forestale di Camaldoli dove Amintore Fanfani riuniva per qualche giorno la famiglia. Due modi di trascorrere le ferie che raccontano due generazioni di leader e che descrivono il percorso compiuto dal Paese. Inutile stendere una classifica tra migliori e peggiori, i politici come gli uomini sono figli del loro tempo.
Berlusconi a Salvini: che fai, mi copi?
Una volta le vacanze dei politici semplicemente non esistevano. La "villeggiatura" non aveva una valenza pubblica. De Gasperi saliva tra le sue valli e si vestiva da montanaro trentino, Moro si recava a trovare i figli e la moglie Noretta sul litorale romano non sentendo neppure il bisogno di togliersi la giacca. Erano spezzoni di vita privata, che non finivano nei giornali di grande tiratura e men che meno in tv. Oltre alla naturale ritrosia legata alla castigatezza dell’epoca, i leader non avvertivano l’esigenza di mostrarsi, semplicemente perché non ne avevano bisogno. Si votava un’idea o uno schieramento, non una persona. Il corpo del leader non serviva.
Ed è solo con la Seconda Repubblica e la personalizzazione della lotta politica che il privato inizia a diventare pubblico. In una prima fase ci si limita a una prudente esibizione, quasi una concessione. Per cui Pertini, uno dei primi a crearsi un personaggio, si faceva vedere in montagna dove andava a trascorrere le ferie, anche lui vestito da montanaro con la pipa e il basco, qualche anno dopo Craxi era ripreso al mare mentre fa il bagno con Berlusconi o si gode il sole della costa tunisina, D’Alema veleggia al timone del suo Ikarus, Ciampi in bicicletta nella casa sul litorale romano, Napolitano nei mari del sud Italia asinsieme a Clio.
Anche se mostrati, si trattava di momenti intimi e comunque veri, per niente costuiti. Come accadrà invece di lì in avanti, quando il politico comprende che il «pubblico» ha una parte sempre più rilevante nella propria narrazione, di cui le vacanze sono un complemento, e quindi tantovale "pensarlo".
Antonio Di Pietro marciò molto sulle fotografie che lo ritraevano in sella a un trattore a Montenero di Bisaccia e ne confermavano l’immagine di uomo verace, semplice e concreto. O Silvio Berlusconi, il maestro della rappresentazione scenica, che ha sempre usato il mito delle ferie però al contrario, spiegando di farne appena una settimana l’anno, peraltro lavorando. L’idea di uomo del fare non contemplava la parola vacanza. Tant’è che nelle volte in cui si è fatto ritrarre in libertà nelle sue numerose ville, il contesto era sempre operoso: in pantaloncini bianchi alle Bermuda con gli happy few, in Sardegna per accogliere Blair e la moglie armato di bandana.
Poi, certo, il Cavaliere era il Cavaliere e qualche momento di relax non poteva non esserci, tipo quello immortalato da Antonello Zappadu con giovani starlette e una concorrente del Grande fratello, ma erano dettagli. Con lui ferie (esibite) e lavoro coincidevano. Come quelle di Salvini adesso al Papeete.
La vera svolta comunicativa della politica nell’epoca social non è solo la sfida selfie tra Di Maio (che si fa immortalare in Sardegna con la fidanzata in bikini) e Salvini. Privato e pubblico si sovrappongono, addirittura si organizza il privato nell’ottica del pubblico. Quindi Salvini sceglie Milano Marittima perché in autunno ci sono le regionali in Emilia Romagna e ad agosto tutti gli emiliano romagnoli sono in Riviera, sta tutto il giorno con il figlio per dare l’idea di padre separato ma premuroso, non si sottrae alle migliaia di richieste di selfie, un uomo del popolo in mezzo al popolo. E come tutti i grandi comunicatori, il suo obiettivo è rompere gli schemi. La sinistra come al solito abbocca, scandalizzandosi per le "irrituali" foto di un ministro dell’Interno che fa il dj masterizzando l’inno di Mameli, ballato dalle cubiste. Sono gli stessi che gridavano allo scandalo per le bandane di Berlusconi. Anche Salvini aspira a essere un "irrituale" che governa per vent’anni.