De Robertis
Un po’ di governo e molto di lotta, pur stando al governo. Ecco come appare il profilo assunto nelle ultime settimane da Matteo Salvini, il cui attivismo è ormai monitorato giornalmente con una certa apprensione più a Palazzo Chigi che al Nazareno. Ma tant’è, l’uomo è così, un attaccante abituato a giostrare sulla linea del fuorigioco, uno che quando sente il terreno scivolargli sotto i piedi – e il terreno sono i sondaggi non brillantissimi e l’aria frizzante che si è iniziata a far sentire all’interno del Carroccio, prossimo al congresso – ecco, in quel momento in Salvini viene immancabilmente fuori il Papeete che è in lui.
Negli ultimi giorni il segretario leghista ha messo in fila un’inattesa visita al premier israeliano Benjamin Netanyhau, cosa che in teoria avrebbe dovuto fare il ministro degli Esteri e per di più finendo per stringere la mano a un politico inseguito da un mandato di cattura della Cpi con la quale la premier sta cercando di riallacciare i rapporti; ha partecipato a Madrid a un vertice dei Sovranisti in cui si è attaccata pesantemente la Commissione europea di cui è vicepresidente esecutivo Raffaele Fitto e che è sostenuta da Forza Italia; ha ingaggiato una battaglia sulla rottamazione delle cartelle esattoriali su cui il viceministro dell’Economia Leo (FdI) non è d’accordo e lo stesso ministro Giorgetti è per le meno freddo.
Un attivismo – chiamiamolo così – che ha come obiettivo recuperare spazio politico e consensi all’interno della coalizione, sia al centro per non farsi staccare da Forza Italia, sia a destra per occupare gli spazi lasciati da una Meloni inevitabilmente sempre più "di governo", che però se non usato con prudenza potrebbe rivelarsi un boomerang sia per la maggioranza sia per lo stesso Salvini. Gli elettori leghisti sono gente pratica, abituati ad apprezzare prima di tutto chi risolvere problemi e non chi agita drappi rossi più per far chiasso che per costruire concrete soluzioni.