Povero sciopero. E povero Albert Camus. Sono il vicepremier Matteo Salvini e il segretario generale della Cgil Maurizio Landini a chiamarli in causa. Il ministro delle Infrastrutture preannuncia nuovi interventi per limitare le prossime mobilitazioni dei lavoratori. A giustificazione della propria esortazione alla "rivolta sociale", il leader sindacale dispensa invece – recapitando alla premier Giorgia Meloni – l’opera in cui l’intellettuale francese, già evocato dal neoministro della cultura Alessandro Giuli, contrappone l’azione creatrice dell’arte alla negazione arbitraria degli istituti trascendentali (compreso Dio) della rivolta metafisica e al carattere totalitario della rivolta storica. Era il 1951 e Camus andava prendendo le distanze da Jean Paul Sartre, con cui sancì la rottura nel 1953 e che a sua volta andò maturando la propria critica all’ortodossia sovietica.
Sin troppo in rapporto alle polemiche politiche di questi giorni. Che tuttavia attengono al diritto di sciopero, i suoi effetti e il modo in cui gli stessi sindacati dei lavoratori ci si relazionano. "Sono soddisfatto di aver garantito il diritto a viaggiare con i mezzi pubblici a milioni di italiani", afferma Salvini in merito alla precettazione disposta in occasione dello sciopero generale di venerdì. "Il mio impegno non cambia in vista di dicembre, quando si contano già 15 scioperi proclamati, fra cui uno generale fissato il 13, guarda caso un altro venerdì, a pochi giorni dal Natale – continua il vicepremier –. Sono pronto a intervenire ancora, per aiutare i cittadini".
La lingua del vicepremier e leader del Carroccio batte in effetti dove il dente duole. Gli scioperi nel settore trasporti, infatti, creano impedimenti sostanziali ai lavoratori di altre categorie. Il personale Ata delle scuole, ad esempio, spesso precario e fuori sede, non riesce a recarsi sul logo di lavoro a causa degli stop ai trasporti pubblici. Dinamica che mette in conflitto il lavoro salariato.
D’altro canto non è del tutto infondato che molti ritardi nel trasporto ferroviario non dipendano affatto dagli scioperi, come rileva il deputato del Partito democratico Andrea Casu, contestando al ministro Salvini di essere "impegnato ad accanirsi contro il diritto costituzionale allo sciopero, tentando di scaricare sui lavoratori le responsabilità di un sistema che non funziona".
Archiviate la mobilitazione generale di venerdì e la disputa, non proprio peregrina, sul tasso di adesione, rimangono il braccio di ferro a distanza sul diritto allo sciopero, che ingaggia governo e forze sociali, e la riflessione sull’unità sindacale, che interroga soprattutto le opposizioni.
Dall’assemblea delle Acli il leader della Cgil, Maurizio Landini, rilancia infatti la propria esortazione alla legittimità della rivolta ("Rivolteremo l’Italia come un guanto", aveva detto) come imprescindibile motore di conflitto e progresso sociale. E in questo contesto rivendica, non del tutto appropriatamente secondo molti, il ricorso al testo di Camus.
Gli replica Matto Salvini mettendo in guardia, un po’ pedantemente, rispetto a ogni esortazione al conflitto.
Più che altro, però, sono la rottura dell’unità sindacale e il riscontro della mobilitazione che mettono in allarme l’opposizione. Se la segretaria del Partito democratico Elly Schelin prende comprensibilmente le parti del sindacato, nel Pd non sfugge il pericolo di "consegnare la Cisl al governo" e ancor più che venerdì non si è manifestata, come accade già da diversi anni, la solidarietà nei confronti della mobilitazione sindacale, soprattutto da parte del lavoro autonomo e precario, che – come abbiamo visto – si è trovato addirittura ostacolato dallo sciopero.