Venerdì 17 Gennaio 2025
MAURIZIO SACCONI
Politica

Sacconi e la parabola di Bettino. Fu cancellato a colpi di ipocrisia. A pagare sono stati gli italiani

Il ricordo della morte del leader Psi ripropone la ragione della fragilità del Paese dopo di lui. I suoi nemici, interni e internazionali, lo sconfissero con l’arma più odiosa: la distruzione dell’immagine

Bettino Craxi nacque a Milano nel 1934. Morì in esilio ad Hammamet nel 2000 Fu segretario del Partito socialista dal 1976 al 1993

Bettino Craxi nacque a Milano nel 1934. Morì in esilio ad Hammamet nel 2000 Fu segretario del Partito socialista dal 1976 al 1993

L’anniversario della morte di Bettino Craxi ripropone innanzitutto la ragione della fragilità politica, economica e sociale dell’Italia dopo di lui. Egli non è stato tanto o solo il capro espiatorio di un ceto politico interamente partecipe del finanziamento illecito, quanto soprattutto l’obiettivo mirato di chi ha voluto far saltare il banco all’atto della fine del comunismo. Craxi, con l’annunciato ritorno a Palazzo Chigi, avrebbe lungamente guidato e plasmato la nuova stagione politica successiva alla caduta del Muro. Le sue ambizioni erano note.

Modernizzare l’Italia, renderla protagonista in Europa e nel Mediterraneo, cambiarne la geografia elettorale. Atlantista convinto (suoi i missili a Comiso), pretendeva tuttavia che nelle aree geopolitiche limitrofe si dovesse affermare il legittimo interesse nazionale (ed europeo), specie in Africa e in Medioriente.

I suoi nemici, interni e internazionali, riuscirono a sconfiggerlo con l’arma più odiosa. La character assassination, la distruzione dell’immagine con l’uso combinato della leva giudiziaria e di quella mediatica. Per ottenere lo scopo furono necessarie pesanti armi improprie destinate a lasciare ferite che nei venticinque anni successivi non sono state guarite.

Da un lato dovettero iniettare nella democrazia italiana forti dosi di ipocrisia che avrebbero lungamente inquinato le sue falde più profonde e quindi le generazioni successive. Come si poteva d’altronde accusare il capo del terzo partito di avere fatto lui solo ciò che tutti facevano? Tangentopoli fu una rappresentazione falsa per la sua illuminazione parziale, una città rimasta prevalentemente al buio e perciò odiosamente asimmetrica. Non bastarono procure schierate che da una parte colpivano e dall’altra coprivano, serviva anche una narrazione che in parallelo disegnasse faziosamente i quartieri del bene e quelli del male, senza neppure le sfumature di grigio. Craxi fu sconfitto ma i suoi avversari furono condannati alla vita grama di chi ha pure governato, ma ha dovuto lungamente destreggiarsi tra una giustizia condizionata da una minoranza fattasi aggressivo potere autonomo e una informazione sempre meno influente rispetto ai nuovi media.

Ma, soprattutto, sono stati gli italiani a pagare il conto del colpo di Stato mediatico-giudiziario nei lunghi anni del rattrappimento economico e sociale. Il premio nobel Edmund Phelps ha avuto modo di considerare, in una conferenza a Roma, come la crescita italiana sia stata lungamente sostenuta dalla sua indigenous innovation, ovvero dalla sua originale creatività. Ma come questa si sia esaurita nella prima metà degli anni ‘90. Guarda caso. Ogni attività umana, pubblica e privata, è stata irrigidita in una rincorsa tra l’amplificazione delle patologie e l’ipertrofia di regole sempre più minute e sanzionate.

Ricordare la morte in esilio di Craxi dovrebbe quindi consentire non solo la piena riabilitazione di un leader colpito proprio per i suoi meriti ma, dopo ben venticinque anni, anche l’occasione per liberare la vitalità italiana dal lungo maleficio indotto dal trauma di allora, cronicizzatosi nel corpo della nazione. Il rimedio è la verità, antidoto alla menzogna e unico solido pavimento sul quale costruire un futuro migliore.

La verità consiste nella ricostruzione di una equilibrata lettura dei vizi e delle virtù della prima stagione repubblicana, inclusi i suoi anni ‘80 quando l’Italia seppe reagire al tempo delle ideologie e delle loro derive terroriste. La verità è però anche la riforma dell’ordinamento giudiziario affinché la giustizia sia il prodotto naturale di un giudice terzo rispetto a entrambe le parti del processo.

La verità si alimenta infine di una informazione che, memore degli errori dell’epoca, ritrovi pensiero critico e rifiuti veline omologanti cosi da risalire nella fiducia dei lettori.