Giovedì 3 Ottobre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Rotta verso il premierato. Quattro passaggi in Aula e le urne all’orizzonte: il governo cerca sponde

La nuova legge costituzionale rimbalzerà tra Camera e Senato fino al 2025. Ma senza il consenso dei due terzi del Parlamento il referendum è scontato. L’esecutivo: pronti a discutere di tutto. Le proposte alternative di Pd e M5S.

Rotta verso il premierato. Quattro passaggi in Aula e le urne all’orizzonte: il governo cerca sponde

Rotta verso il premierato. Quattro passaggi in Aula e le urne all’orizzonte: il governo cerca sponde

Il percorso è appena iniziato e sarà lungo. Le leggi costituzionali devono essere sottoposte due volte all’esame di entrambe le Camere, e tra la prima e la seconda lettura devono passare tre mesi. Secondo il calendario illustrato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, il premierato dovrebbe tagliare il primo traguardo a ridosso delle Europee di giugno: la seconda lettura dovrebbe essere alla fine del 2024 o, più probabilmente, all’inizio del 2025. Qualche mese dopo, quasi certamente in autunno, dovrebbe svolgersi il referendum confermativo. Sulla carta non è sicuro: la ministra delle riforme, Elisabetta Casellati, ha lanciato accorati appelli all’opposizione in nome dei cambiamenti apportati al progetto originario, il presidenzialismo. "Il testo non è blindato: certo le modifiche devono essere coerenti". Ma l’eventualità di un accordo che consentirebbe di far passare in modo definitivo la riforma con i due terzi dei componenti delle Camere stanno a zero. Persino l’appoggio di Renzi e di Iv appare ora molto più tiepido: "Voteremo il premierato solo se la maggioranza accetta i nostri emendamenti", riassume gli umori il capo dei senatori, Enrico Borghi. Insomma, l’iter parlamentare deve ancora iniziare ma già tutti pensano al referendum. Ogni mossa, ogni dichiarazione dei due ’eserciti’ è in funzione di quella sfida.

Tutto può succedere, ma al momento il centrodestra esclude modifiche sostanziali sulla misura che concentra più critiche: la norma anti-ribaltone. Quella lambiccata formula non è stata decisa — come potrebbe apparire da certe dichiarazioni — per lanciare un ’gancio’ al centrosinistra, bensì per evitare uno scontro con Sergio Mattarella. Il capo dello Stato mantiene la facoltà di nominare un altro premier qualora quello eletto, per qualsiasi motivo, cessi dall’incarico. Togliere questo potere dopo avergli levato quello nominare il primo ministro significa sminuirne troppo il ruolo, e Meloni sa bene che, in una campagna referendaria giocata dall’opposizione sulla funzione di garanzia del presidente della Repubblica, rischia di perdere grosse fette di elettorato. Così, si sente tutelata: "Giorgia non teme il referendum — assicura Mantovano — Qualora però la riforma fosse bocciata non ci sarebbero conseguenze sul governo".

La maggioranza appare formalmente più aperta sulla riforma elettorale: "Siamo disponibili a discutere di tutto". In sostanza, il sentiero è stretto, e il doppio turno è improbabile: avvantaggia il centrosinistra. "Io penso che sia più adatto al semi-presidenzialismo alla francese", si schiera il presidente del Senato, Ignazio La Russa, causando non pochi malumori nell’opposizione. In realtà, il centrodestra ragiona sull’ipotesi di riproporre il modello in vigore, con aggiustamenti. D’altra parte, pure la mossa di Pd e M5s di porre sul tavolo una proposta di riforma alternativa (un cancellierato o un sistema che rafforzi il premier senza prevederne l’elezione diretta) è funzionale alla battaglia. Le possibilità di far passare le modifiche in Aula sono nulle, però gli consente di trasformare la consultazione in una scelta tra due modelli di governo. Oggi non sembrano esserci alternative allo scontro referendario. Ma la politica è mutevole: il quadro, per quanto impossibile sembri, potrebbe rivelarsi in futuro diverso.