Roma, 23 ottobre 2022 - Quale è il significato politico della sua nomina?
"Mi è stato affidato da Giorgia Meloni, che ringrazio per la fiducia, un ministero che considero strategico per il futuro del nostro Paese. Penso che il significato politico sia rendere finalmente centrali i temi della natalità, della famiglia e soprattutto della maternità, facendoli entrare nell’agenda politica con pari dignità rispetto ad altre emergenze. Vogliamo portare idee nuove, anche con un’azione di lungo respiro, non guardando solo alle scadenze immediate, come ormai è diventata abitudine della politica". E’ l’esordio di Eugenia Roccella, un lungo percorso dal Partito radicale a Fratelli d’Italia, sempre intellettualmente non conformista, da qualche ora Ministra della Famiglia, pari opportunità e natalità.
Quale è la missione unificante di un Ministero che tiene insieme tutti questi obiettivi?
"Il calo delle nascite in Italia è drammatico. Il presidente dell’Istat, Blangiardo, lancia ogni anno un grido d’allarme inascoltato. L’inverno demografico rischia di diventare un inferno demografico, con effetti devastanti che non immediatamente percepiti dall’opinione pubblica".
Quali rischi corriamo?
"Si parla soltanto del problema delle pensioni, del pericoloso squilibrio del sistema previdenziale, ma in realtà un Paese che non fa figli è un Paese in sofferenza, incartato su se stesso. È un Paese con meno capacità di innovazione, meno energia, meno speranza nel futuro, meno solidarietà tra le generazioni, e l’immigrazione non basta a colmare questo vuoto. Sono cose che si dicono e ripetono da tempo, ma la politica finora non ha saputo o voluto dare risposte strutturali: si è limitata a provvedimenti poco incisivi".
Voi, invece, che cosa volete fare?
"Vogliamo mettere in campo politiche che pongano al centro la maternità. Sono le donne che fanno i figli: se oggi rinunciano a farli, bisogna chiedersi perché. È crollato il desiderio di maternità? No: le indagini in merito ci dicono che il desiderio è sempre più o meno lo stesso, ma si preferisce rimandarne la realizzazione e magari alla fine lasciar perdere. E questo perché la scelta di fare un figlio ricade tutta sulle donne, che hanno difficoltà a fare carriera, ad avere una vita sociale, a esprimere pienamente le proprie potenzialità".
Ci sono, però, anche ostacoli economici.
"Certo. E infatti per quanto riguarda i costi, i dati sulla povertà ci dicono che chi ha figli è più a rischio, e che le famiglie numerose sono fortemente penalizzate. Insomma, nel complesso, avere un figlio può essere un percorso a ostacoli, qualcosa che è visto come impedimento al lavoro e alla realizzazione di sé: noi vogliamo rovesciare questa prospettiva con i fatti".
La sinistra e un certo mondo radical-femminista ha subito sparato a zero parlando di «modello polacco» e di rischi di arretramento sui diritti.
"Sono stupefatta da queste reazioni abnormi, perché nessuno ha mai parlato di togliere diritti, ma semmai di ampliarli. Nessuno a sinistra pensa al diritto delle donne di essere madri senza rinunce troppo gravose? Nessuno a sinistra si accorge che il vecchio slogan femminista “maternità come libera scelta” è totalmente disatteso? Sono attacchi puramente strumentali, utili per “sbattere il mostro in prima pagina”. E se il mostro non c’è, pazienza, si costruisce".
Nessun cambiamento in arrivo, dunque, sulla legge sull’aborto?
"Vorrei chiarire che le politiche sull’aborto non hanno nessun contatto con quelle per la natalità. Diminuire il numero di interruzioni di gravidanza non serve ad aumentare il numero di nati: fra abortività e natalità c’è una proporzione che è sempre più o meno la stessa. Sull’aborto esiste una legge che nessuno ha mai messo in discussione (io non l’ho mai fatto, e Meloni in campagna elettorale è stata molto chiara su questo punto) la cui applicazione è affidata alle regioni. La verità è che oggi la legge non è attaccata dalla destra, ma dalla sinistra che vorrebbe smontarla, come ha fatto con la legge 40, e vuole farlo senza passare dal Parlamento".
Attraverso quali vie?
"La voglia di cambiare la legge 194 è sempre più scoperta: si vuole arrivare all’aborto a domicilio, con la pillola Ru486, abolendo l’obiezione di coscienza e l’obbligo di legge, di eseguire gli interventi in strutture pubbliche, con le relative garanzie sanitarie per le donne. Parlo in via generale, perché la competenza sulla legge 194, come è noto, è in capo al ministero della Salute, non riguarda il mio mandato politico, e l’applicazione della legge è affidata alle regioni".
Un altro fronte controverso è quello sull’«utero in affitto». Ci saranno interventi?
"Già nella scorsa legislatura sono state presentate proposte di legge contro questa pratica di sfruttamento delle donne povere, che ha anche connotazioni razziste, perché chi vi ricorre compra gli ovociti, con cui si trasmettono i caratteri somatici, scegliendo su catalogo “donatrici” (si usa questo termine pudico per mascherare il passaggio di denaro) con precise caratteristiche: in genere ragazze dell’Est, bionde, bianche, alte. Invece la donna che deve accogliere l’embrione in grembo e partorirlo, viene scelta secondo la più classica legge di mercato, cioè il minor costo. In genere quindi sono donne bisognose, di Paesi terzi, spesso condizionate da contratti capestro. Colpisce come chi si riempie la bocca di diritti delle donne, su questo taccia".