Roma, 24 ottobre 2024 – Giorgio Gori, eurodeputato Pd, qual è la sua opinione sui trasferimenti degli stranieri richiedenti asilo in Albania e il nuovo decreto del governo?
“Il governo sta provando a far passare l’idea che i rimpatri dei migranti irregolari non si fanno per colpa dell’Europa e dei giudici, che con le loro obiezioni sui cosiddetti Paesi sicuri impediscono il funzionamento dell’hub costruito in Albania e di conseguenza i rimpatri. Nulla di più lontano dalla realtà. La definizione di Paese sicuro non c’entra con i rimpatri. Serve solo a stabilire il tipo di procedura a cui un migrante viene sottoposto, se accelerata o no. L’hub albanese è un luogo di deportazione nel quale il governo immagina di sottoporre a procedura accelerata coloro che verrebbero da Paesi sicuri. Ma le norme europee fissano criteri molto precisi, e qui nasce il contenzioso”.
Cosa impedisce i rimpatri?
“I rimpatri si fanno se esistono accordi coi Paesi di origine e se questi accettano di riaccogliere i migranti. Storicamente, quindi, se ne fanno pochissimi: nel 2023 sono stati 4.700 su 158mila arrivi, il 3%, e 4.300 l’anno prima. In Italia si stima che vivano circa 460mila stranieri irregolari: meglio affrontare il problema in un altro modo”.
Come?
“Partirei da tre cose. La prima: estendere gli accordi bilaterali coi Paesi di origine. La seconda: anziché forzare i rimpatri, ricorrere a quelli volontari assistiti. Infine, affrontare con pragmatismo il problema rappresentato dalle centinaia di migliaia di persone che vivono qui irregolarmente, tra lavoro nero e criminalità, alimentando problemi di sicurezza, con uno strumento di regolarizzazione selettiva. Non parlo di sanatorie, ma dove si è in presenza di radicamento, volontà d’integrazione, conoscenza della lingua, disponibilità al lavoro, è più facile e più utile regolarizzare che tentare inutilmente di espellere”.
In tutta Europa però le migrazioni sono tema più politico che pratico...
“Perché le si sfrutta come strumento di propaganda, mentre nulla si fa per governare il fenomeno. Il che è paradossale, perché non c’è azienda oggi che non lamenti la mancanza di mano d’opera, e il declino demografico italiano è sotto i nostri occhi. “Robusti flussi di immigrazione legale”, per riprendere un’espressione del presidente Mattarella, sono oggi una necessità, oltre che lo strumento più efficace per svuotare i flussi spontanei”.
L’Europa però è ambigua, visto il sostegno a Turchia e Nord Africa, che tengono i migranti in veri lager...
“È vero. I primi accordi con la Libia potevano contare sulla vigilanza dell’Unhcr, ma poi la situazione è degradata. Testimonianze recenti riferiscono episodi simili in Tunisia. Frenare le migrazioni e garantire i diritti è dura. Serve investire nella cooperazione sui Paesi di origine non su quelli di transito”.
Ma il Ppe non è sempre più vicino alle destre?
“Anche qui c’è una frequente ambiguità. Al voto della risoluzione collegata al bilancio, sono passati emendamenti sulla delocalizzazione, la costruzione di barriere fisiche e il rafforzamento di Frontex, proposti dalle destre e votati dal Ppe. È la ragione per cui alla fine abbiamo bocciato la risoluzione. Ma il problema resta anche per noi: il tema del controllo dei confini è sentito dai cittadini. E la sinistra, insieme alle ragioni umanitarie, deve in qualche modo farsene a sua volta carico”.