New York, 23 agosto 2024 – Kamala Harris ha il vento in poppa, ma la campagna elettorale è ancora lunga e se vuole vincere a novembre deve giocare bene le sue carte. Gianluca Pastori, docente alla facoltà di Scienze politiche e Sociali dell’Università Cattolica di Milano e analista dell’Ispi spiega ‘l’effetto Kamala’ sul Partito democratico e cosa potrebbe succedere se Donald Trump non dovesse accettare il risultato delle urne.
Professor Pastori, un mese fa, dopo l’attentato sfruttato da Trump per accrescere il suo consenso, in casa Dem regnava la rassegnazione. Adesso, le donazioni e i sondaggi legittimano l’entusiasmo. Merito solo del cosiddetto ‘effetto Kamala’ o c’è dell’altro?
"Per quanto riguarda gli investimenti, le donazioni, c’era stata una fase di stallo nelle ultime settimane in cui Biden è stato il candidato del partito. In realtà oggi questo stallo sembra superato e una parte importante degli sponsor dei donor di Harris sono ex supporter donor di Biden. Possiamo dunque parlare di una continuità. Questa componente rappresenta la parte importante dei fondi che sono arrivati in questo momento per la campagna di Harris. Poi sicuramente la scelta di schierare la vice al posto di Biden ha contribuito a orientare diversi sponsor che erano stati indecisi. Per quanto riguarda i sondaggi, non penso che Harris sia un candidato invincibile. Ma il suo nome ha tolto il Partito Democratico da quella situazione di incertezza in cui si trovava dopo il confronto televisivo Biden-Trump, quando l’attuale presidente non aveva assolutamente convinto. È un aspetto importante dell’effetto Kamala: la candidatura di Harris ha contribuito a orientare donor, sponsor, finanziatori e grandi supporter".
Ha definito Kamala Harris una candidata non invincibile. I sondaggi per il momento le stanno dando ragione. Crede che la presidenza sia contendibile?
"Per come la vedo io, queste, come del resto quelle del 2016 e 2020, saranno elezioni giocate sul filo del rasoio. Harris continua ad avere le debolezze che l’hanno caratterizzata come vicepresidente e continua ad essere un candidato non molto amato da una parte del partito. In questo momento, però, lei può sfruttare il grosso collante, ossia quello dell’anti-trumpismo. L’abbiamo visto nei discorsi della convention. Praticamente tutti hanno rimarcato il fatto che se non vince lei, vince Donald Trump. E non soltanto vince Donald Trump, ma vince il trumpismo, cioè una certa visione dell’America che rischia di arrivare alla Casa Bianca e di rimanerci per ben più di quattro anni".
Alle elezioni mancano quasi tre mesi. Su cosa dovrebbe impostare la campagna elettorale Kamala Harris?
"Per prima cosa credo che debba battere con insistenza gli Stati che risultano ancora contesi, quindi Arizona, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, quegli Stati dove si sono decise anche le elezioni del 2016 e del 2020. E lasciare lavorare quello che adesso è paradossalmente il suo migliore alleato, ossia Donald Trump. Se in luglio Trump sembrava aver sposato toni più moderati, nelle ultime settimane è tornato al registro scomposto e aggressivo che ben conosciamo. Ecco, proprio questi attacchi scomposti possono essere forse l’elemento che spingerà gli elettori indecisi a votare per Harris".
Lei ha parlato di elezioni contese fino all’ultimo. Possiamo aspettarci una nuova Capitol Hill, nel caso in cui Trump dovesse perdere?
"In questo momento credo ci sia grande preoccupazione, soprattutto nelle agenzie di sicurezza e di law enforcement americane. La politica americana è polarizzata e questo potrebbe dare luogo a episodi di tensione, ma un episodio come Capitol Hill nel 2021, mi pare molto difficile da prevedere, anche se con Donald Trump si possono aspettare le cose più inattese".