Mercoledì 13 Novembre 2024
BRUNO VESPA
Politica

Riforma Senato, le elezioni impossibili

Bruno Vespa

Bruno Vespa

Roma, 19 settembre 2015 - SE AL vostro vicino d’auto, mentre aspettate il verde al semaforo, chiedete che cosa pensa della polemica sull’articolo 2 della riforma del Senato, vi manderà probabilmente al diavolo. Ma se vi capita di parlare di politica o di economia con il presidente della Bundesbank, con un ministro tedesco o un giornalista americano, vi chiederà puntualmente quando questa riforma sarà approvata. All’estero, se si vive in un paese normale, sanno benissimo quanto il passaggio di una legge ordinaria in una sola Camera potrebbe giovare all’economia e alla società italiana. A noi la riforma del Senato progettata da Renzi non piace. Avremmo preferito 30 tra sindaci e governatori e settanta parlamentari eletti, sia pure con poteri molto ridotti, portando – se necessario ai risparmi – i deputati da 630 a 550. Se questo è impossibile, vorremmo che i senatori eletti dai cittadini nel listino dei consigli regionali andassero poi a palazzo Madama quasi a tempo pieno, senza trasformarlo in un dopolavoro. Ci pare al tempo stesso molto pericolosa la richiesta della minoranza Pd e delle opposizioni di far rientrare dalla finestra i poteri tolti dalla porta a Senato e regioni.

IL SISTEMA cambierebbe pochissimo e saremmo daccapo. Riteniamo che Renzi abbia i numeri per far passare una legge il più decente possibile: è probabile che lunedì in direzione riesca a trovare una mediazione per la quale sta lavorando a tempo pieno Giorgio Napolitano. Ma se questa cadesse, il partito di Alfano sarebbe più compatto di quanto non s’immagini, Verdini porterebbe i voti dei suoi e sarebbe d’aiuto anche qualche assenza strategica in Forza Italia. Alternative non ce ne sono.

UN GOVERNO istituzionale presieduto da Piero Grasso è impensabile. La maggioranza del Pd non è disponibile a sostenerne altri: la crisi porterebbe perciò a elezioni anticipate. Una pura follia mentre si intravedono i primi accenni di ripresa. Renzi ha un modesto interesse ad andarci con un sistema proporzionale frutto della sentenza della Corte costituzionale perché sarebbe costretto a un governo di coalizione . Ma i suoi avversari (tranne il M5S) ne avrebbero ancor meno: la minoranza Pd verrebbe spazzata via e di Forza Italia resterebbe ben poco. Il partito di Berlusconi spera sempre in una modifica della legge elettorale portando il confronto tra le coalizioni invece che tra i partiti: alla fine del 2014 approvò l’attuale nell’illusione di poter concordare il nome del capo dello Stato. Non è andata così e oggi si lecca le ferite.

MA I TEMPI sono cambiati anche per Renzi. La legge attuale è figlia di un Pd al 40 per cento che s’illudeva di vincere senza nemmeno il disturbo del ballottaggio. Oggi quel traguardo è utopistico e il presidente del Consiglio ha più interesse a confrontarsi al ballottaggio con una coalizione di centrodestra che non con il Movimento 5 Stelle. Consapevole del fatto che una piccola parte dei moderati voterebbe per lui, il resto si asterrebbe mentre i leghisti voterebbero quasi compatti per il partito di Grillo. Renzi non può accettare oggi l’offerta di Berlusconi perché darebbe l’impressione di cedere a un ricatto. Ma domani potrebbe farlo, nel suo stesso interesse.