Roma, 17 giugno 2023 – È netto e diretto il verdetto di Sabino Cassese sulla riforma della giustizia del Ministro Carlo Nordio. Uno dei più autorevoli maestri del diritto del nostro Paese non ricorre a nessun formalismo. Anzi. “È una riforma – avvisa – che merita apprezzamento, in qualche punto troppo timida”.
Professore, partiamo dalla valutazione complessiva: perché la convince l’impostazione del disegno di legge del governo?
“Sopprime un reato indicato in forma poco precisa, stabilisce il rispetto della vita privata delle persone indagate e non indagate, circonda di garanzie la custodia preliminare, perché non diventi una minaccia, cerca di evitare il ‘naming and shaming’, cioè l’uso di additare al pubblico ludibrio, mediante la pubblicazione di informazioni sulla vita privata”.
Uno dei punti cardine è l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio: perché deve essere eliminato?
“L’abuso di ufficio, nonostante l’intervento legislativo del 2020, è rimasto un reato non sufficientemente delineato dalla norma, indicato con eccessiva latitudine, sicché non si sa che cosa sia effettivamente vietato, e quindi sanzionabile. Il sindaco di una piccola città siciliana è stato indagato per abuso di ufficio per aver negato l’uso della biblioteca comunale per una manifestazione canora, preferendo un dibattito sul referendum costituzionale. Se – come è stato stimato – nel 2021 il 99% degli indagati è stato assolto, vuol dire che la figura del reato non è sufficientemente determinata e affermare che questo reato è funzionale alla individuazione di altri reati vuol dire sposare una concezione fantasiosa del diritto penale”.
Un altro passaggio criticato è quello della cosiddetta inappellabilità di talune sentenze di assoluzione di primo grado.
“Vale per i reati meno gravi, include una percentuale minima di reati. Questo è uno dei punti nei quali l’iniziativa governativa poteva essere più coraggiosa. Sul merito, può dirsi che, se non emergono fatti nuovi, un accanimento delle procure, dopo un proscioglimento, non fa altro che peggiorare la situazione della giustizia italiana, che dovrebbe preoccuparsi dei più di 4 milioni di procedimenti pendenti”.
Arriviamo alla stretta sulle intercettazioni: perché non è una norma-bavaglio?
“Anche qui un passo avanti, ma piccolo. E non viene toccata la sanzione. La critica per cui ne deriverebbe un danno del giornalismo investigativo al quale si vorrebbe mettere il bavaglio, è sbagliata perché le indagini e i processi non si fanno né nelle piazze, né suoi giornali. La giustizia si fa nelle aule dei tribunali. Per il futuro, occorre riflettere sull’opportunità di limitare le intercettazioni solo ad alcuni reati, perché il bilanciamento tra violazione della vita privata e giustizia è oggi troppo a danno della prima”.
Vengono ridefiniti anche il reato del traffico di influenze e le regole per le misure cautelari.
“Do un giudizio positivo della ridefinizione del reato di traffico di influenze e della disciplina delle misure cautelari, anche se sono esclusi i reati di maggiore allarme sociale. Valuto positivamente anche gli interventi in materia di informazione di garanzia, perché sia davvero a difesa dell’indagato. Non va dimenticato che nella Costituzione c’è scritto che l’indagato è informato riservatamente”.
Le opposizioni, anche se non tutte, e l’Associazione nazionale magistrati sono contrarie e pronte a dare battaglia.
“Le opposizioni farebbero bene a sentire le voci della ragione e del diritto, nonché quelle dei sindaci. Quanto all’associazione dei magistrati e ai singoli magistrati che sono intervenuti, dovrebbero spiegare quanto i loro interventi sono nell’interesse della giustizia e quanto invece a difesa delle proprie “mani libere”.
Perché è così difficile sempre riformare la giustizia in Italia?
“Perché non c’è più la separazione dei poteri. Il governo è diventato legislatore. Il Parlamento è diventato amministratore. I giudici esercitano funzioni amministrative, occupando gli uffici serventi del CSM e del ministero della giustizia, e la funzione legislativa con la loro presenza nei gabinetti ministeriali”.
Siamo di fronte, con la riforma, a una svolta garantista o servono altri interventi?
“Come ho detto, un buon inizio, purché si continui. I milioni di cause pendenti mostrano che c’è una domanda di giustizia che non viene soddisfatta. Questo si riflette nella rapidamente decrescente fiducia, misurata dai sondaggi, della popolazione nella magistratura. Se l’ordine giudiziario non riesce rapidamente a eliminare l’arretrato, rispondendo con sollecitudine alla domanda di coloro che si sono rivolti ai giudici, l’intero corpo della magistratura finirà per perdere completamente la fiducia che la collettività deve avere nella giustizia. Una giustizia che arriva in ritardo non è giustizia. E rischia di non esserlo una giustizia che perde la fiducia dei cittadini”.