Altro che Impegno civico o un sabbatico di lusso. Meglio un posto da inviato per l’Unione europea: dal Golfo di Napoli al Golfo persico. Se la politica è l’arte della reinvenzione – soprattutto di se stessi – Luigi Di Maio da Pomigliano, fresco bocciato alle elezioni politiche, appare destinato a lasciare il segno persino nella variopinta casistica italiana. L’ex volto principe dei 5 Stelle, per lungo tempo secondo solo a Beppe Grillo, poi istituzionalizzato con tripla gavetta ministeriale fino alla nomina alla guida della diplomazia confermata da Mario Draghi e al successivo salto nel vuoto tra i "responsabili" di area Pd, è tra i quattro candidati dell’Unione all’incarico di inviato Ue nell’area più calda del pianeta: islam e petrolio tra Yemen in guerra ed Emirati in ascesa, ma anche Iran in fiamme e sauditi ben decisi a preservare il proprio ruolo. Roba da sabotare l’ego di Matteo Renzi, che a quelle latitudini è di casa.
Secondo prassi, l’Unione europea non conferma né smentisce, ma più di una fonte avvalora la novità: l’ex numero uno della Farnesina avrebbe trovato posto nella short list sul tavolo di Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per la politica estera. Gli altri candidati? Il greco Dimitris Avramopoulos (ex commissario europeo per Affari interni e Migrazioni), il cipriota Markos Kiprianou (a sua volta ex ministro degli Esteri) e lo slovacco Miroslav Lajčák (già Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina). Proprio Lajčák e Avramopoulos appaiono i rivali più ferrati. Di Maio, da ministro degli Esteri, ha visitato più volte i Paesi del Golfo per tentare di recuperare i rapporti con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi dopo la decisione dell’allora governo Conte di interrompere la vendita di armi. La candidatura al nuovo ruolo strategico – dopo la firma di chilometriche scuse per gli errori giovanili – manda in fibrillazione la vasta platea dei nemici. Il forzista Maurizio Gasparri rilascia veleno: "Apprendo con sconcerto che Di Maio sarebbe oggetto di valutazione per un incarico da inviato nel Golfo per occuparsi di energia. Dopo aver dimostrato tanta presunzione e incompetenza, sarebbe un’autentica provocazione nei confronti dell’Italia".
Il fatto che la scelta spetti quasi esclusivamente a Borrell, che la selezione dei profili sia scattata prima dell’insediamento del governo Meloni, e che lo s[EMPTYTAG]tesso Draghi non abbia sollevato riserve, oggi determina una situazione di imbarazzo con Palazzo Chigi. Antonio Tajani, successore di Di Maio alla Farnesina, potrebbe chiedere lumi a Borrell già domani. In queste settimane di alta tensione europea sul fronte migratorio, l’eventuale nomina di Di Maio potrebbe infatti essere interpretata come uno sgarbo da Giorgia Meloni. L’esordiente che nel 2018 a Shanghai abbreviò il nome di Xi Jinping in Ping, che nel 2019 andò in Francia con Alessandro Di Battista a incontrare il leader dei gilet gialli Christophe Chalençon (salvo diventare, tre anni dopo, fan di Emmanuel Macron), e che nel 2021 regalò al perplesso ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov il suo libro Un amore chiamato politica, oggi appare appare sentimentalmente connesso all’Europa che conta. Magari non la spunterà, per esigenze superiori. O forse sì, per lo stesso motivo.