Roma, 17 settembre 2019 - Matteo Renzi ha deciso: "Non è più sostenibile la situazione nel Pd. Vogliono che me ne vada? Me ne vado". Un big renziano, invece, la mette già così: "Che senso ha aspettare ancora? Per ascoltare l’ennesimo appello, magari nemmeno sincero, all’unità?". E così, la scissione di Renzi sta per concretizzarsi.
Il folle volo sta nel fondare un movimento (non un partito) che si chiamerà, forse, "L’Italia del Sì" e che si baserà sui comitati civici Azione civile e Ritorno al Futuro (mille circa e 10mila gli aderenti), ma anche, nelle intenzioni di Renzi, sull’idea di costruire "il partito del Pil", cioè di chi produce, oltre che di chi lavora. L’appuntamento della Leopolda, dal 18 al 20 ottobre, ne sarà il battesimo mediatico, e lì ne verrà tracciata la rotta. L’ufficialità arriverà tra oggi – con l’intervista di Renzi a un quotidiano e, in serata, ospite a Porta a Porta, dove dirà che "sì, me ne vado dal Pd" – e i prossimi giorni, quando si formeranno i nuovi gruppi parlamentari. In più, c’è la delegazione al governo, non piccola: due ministri, Bellanova, che farà da capodelegazione, e Bonetti, più un viceministro, Ascani, e un sottosegretario, Scalfarotto. Infine, presto, arriverà anche la proiezione europea: un solo eurodeputato, per ora (Danti), ma agganci solidi con Renew Europe, il gruppo costituito da En Marche di Macron e dall’Alde, cui lavora l’ex sottosegretario Gozi.
Ieri, nell’estremo tentativo di impedire l’ineluttabile, cioè la scissione, ci hanno provato in diversi, ma è stato inutile. L’ex presidente di epoca renziana, Orfini, l’ha buttata pure sul latinorum (Extra ecclesia nulla salus, fuori dalla Chiesa non v’è salvezza) perché di questo si tratta, uno ‘scisma’. Così lo ha bollato il segretario Pd Zingaretti, cui la cosa non può piacere. Insomma, altro che "separazione consensuale". La scissione, per Enrico Letta, è "una cosa non credibile", per Luigi Zanda "sarebbe un trauma" e giù giù criticando. Il pericolo, ovviamente, è di destabilizzare il Pd e il governo, ma – garantisce Renzi in un’intervista al Times – "ne amplierebbe il sostegno". L’ex premier ieri sera ha assicurato lealtà a Conte e i suoi lo faranno con Di Maio. Non tutti i renziani, però, lo seguiranno: Lotti e Guerini, ministro della Difesa, restano insieme al grosso dell’area.
Si fa prima, dunque, a dire chi ci sarà, nei nuovi gruppi. Alla Camera, quelli certi sono 13/14, tra cui Giachetti, Ascani, Scalfarotto, Boschi, Marattin, che dell’Italia del Sì sarà il capogruppo, Rosato (organizzatore dei comitati), Anzaldi, Nobili, Fregolent, Del Barba, Caré, Librandi, Di Maio, Mattia Mor, e un ex comunista, alla lontana, come Gennaro Migliore. Con altri 5 incerti (Romano, Vazio, D’Alessandro, Berlinghieri, Annibali), potrebbero persino non servire gli innesti da altri gruppi, che pure arriveranno: tre con la Lorenzin, un ex M5S. Mal che vada, venti deputati che assicurano la possibilità di fare gruppo, bene che vada 25/26 deputati, un gruppone degno di nota e peso. Al Senato, invece, i numeri si restringono, e di molto: oltre Renzi, ce ne sono – sicuri – sette: Bonifazi, Faraone, Cerno, Bellanova, Ginetti, Marino, Comincini. Ne servirebbero altri, magari un paio in arrivo da FI, per scalare il gruppo, oggi guidato dalla De Petris (LeU), e ottenere, anche lì, di eleggersi un capogruppo in proprio.