Sabato 21 Dicembre 2024
COSIMO ROSSI
Politica

Referendum anti Jobs Act, Pd spiazzato: "Pensiamo al salario minimo”

L’iniziativa di Landini sul Jobs Act non scalda il Pd : "Fare battaglie sul passato sarebbe suicida" La segretaria Schlein non parla, ma ha più volte criticato le riforme del lavoro dell’epoca renziana

Roma, 28 agosto 2023 – Il più uno del leader della Cgil Maurizio Landini sull’abrogazione per via referendaria del Jobs Act di renziana memoria, stavolta non ha fatto breccia nel Pd di Elly Schlein. Già impegnati nella partita sul salario minimo e il lavoro povero, rispetto cui forse non si aspettavano neanche di riuscire a incalzare il governo al punto di avviare un tavolo, la leader dem e i suoi fedelissimi preferiscono glissare riguardo al referendum paventato da Landini. Prediligendo piuttosto accogliere il quadro generale delineato dal leader di Corso d’Italia: "Lotta alla precarietà, salario minimo e legge sulla rappresentanza sindacale sono tutte questioni che ci vedono in sintonia", come osserva l’ex sottosegretaria al lavoro del governo Draghi, Cecilia Guerra. E conferma il responsabile economico Antonio Misiani, ricordando l’impegno unitario del partito nella campagna estiva sul salario minimo.

Di qui a mettersi in animo di ragionare di un referendum su una legge delega con numerosi decreti attuativi come il Jobs Act, il passo non è breve. Lo stesso senatore Alessandro Alfieri, che da Base riformista adesso rientra invece nella componente di Energie nuove guidata da Stefano Bonaccini, conferma che anche la minoranza preferisce guardare alle battaglie unitarie come il salario minimo. Perché se invece si tratta di guardarsi indietro al fine di vibrare un ulteriore colpo politico nei riguardi della gestione renziana del Pd, "se si tratta di una damnatio memoriae e di giudicare una stagione politica – fa presente Alfieri –, allora vorrei far presente che le priorità sono altre".

Perché in effetti l’esponente della minoranza riformista mette il dito nella piaga di una controversia mai appianata all’interno del partito; tanto meno all’indomani dell’elezione alla segreteria di una outsider esterna all’apparato e al partito stesso come Schlein, che non ha mai lesinato critiche alla linea economica di deregulation adottata dal Pd, pur attenendosi sempre alla dottrina liberista delle istituzioni europee. Una contraddizione che diventa eclatante considerando le differenze interne a un partito dove militano da un lato ex dc e socialisti di provata fede nelle virtù – pur "bentemperate" dallo Stato, come scriveva Romano Prodi – del libero mercato e dall’altro un’area più tradizionalmente socialdemocratica, che di quelle virtù non solo dubita, ma crede necessitino di seri correttivi da parte pubblica.

Giusto un mese fa, l’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti aveva celebrato tra gli applausi i meriti del Jobs Act (e i demeriti di certo giustizialismo) durante la convention cesenate di Energie nuove. La stessa Schlein, che per parte sua rappresenta un peculiare punto di equilibrio tra cultura liberal e socialdemocratica, se da una parte è del tutto allineata con la dottrina liberista europea dall’altro non resiste alla critica kennedyana (Robert, nel caso specifico) nei riguardi del Pil come indicatore di felicità e alla necessità di una tassazione delle rendite.

Fortuna vuole che, trovandosi all’opposizione, il Pd si trova in condizione di concentrare l’iniziativa politica sul terreno più favorevole del costo della vita e il lavoro povero. "Che si debba lottare contro la precarietà e per paghe dignitose è una battaglia che condividiamo e abbiamo voluto come Pd", fa presente il senatore Alfieri. E lo stesso conferma il responsabile economico Misiani. Assicurando che su salario minimo e contro il decreto Primo maggio il partito "si è espresso in modo unanime".

Insomma: nel Pd "c’è ampia convergenza sulla lotta alla precarietà, così come sulla legge di bilancio e la necessità di equità del prelievo", come spiega l’ex sottosegretaria Guerra. E dal momento che il governo ha aperto lo spiraglio di dialogo sul lavoro povero e il potere di acquisto dei salari, Alfieri consiglia di "andare avanti sul salario minimo senza fare battaglie sul passato". A maggior ragione in considerazione che il governo Meloni si è visto obbligato a sedere a un tavolo proposto delle opposizioni e procedere "con un metodo innovativo che dà un segnale". In quanto al giorno d’oggi, si sa, "la narrazione conta più degli aspetti tecnici". E avendo il Pd trovato una battaglia che unifica, fanno presente al Nazareno, "fare battaglie sul passato sarebbe un suicidio".