
Da sinistra: Antonio Tajani, 71 anni, Giorgia Meloni. , 48 anni, e Matteo Salvini. , 51 anni
La maggioranza e il governo arrivano all’appuntamento con la rifondazione armata dell’Europa divisi. Ad avanzare dubbi pesanti sul progetto proposto da Ursula von der Leyen stavolta è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: uomo sobrio, allergico alla propaganda facile, una voce che pesa. "Una cosa sono gli aiuti all’Ucraina, altra cosa la sicurezza e la difesa dell’Europa, che implica un programma di investimenti militari che abbiano un senso, non fatto in fretta e furia, senza una logica". La sua preoccupazione è doppia. Da un lato, pur se non lo esplicita, c’è il timore che il nuovo esborso possa far sballare i conti. Il discorso sarebbe diverso se ad essere scorporata dal Patto di stabilità fosse l’intera spesa militare e non so quella aggiunta al 2% già concordata con la Nato. Il punto è cruciale, ma le 5 misure proposte da Ursula in proposito sono ambigue. Si può star certi che l’Italia oggi in sede di Consiglio europeo straordinario chiederà chiarezza: "Ci vuole cautela", concorda Meloni e con lei il suo partito, FdI. Determinata peraltro a non utilizzare per la difesa i fondi di Coesione, lasciando il progetto facoltà di scelta in proposito.
Non è l’unico cruccio di Giorgetti. Uno degli aspetti oscuri più problematici del progetto è su come spendere gli ottocento miliardi che la presidente della Commissione Ue auspica siano mobilitati; qui il ministro è esplicito: "Dobbiamo evitare gli errori clamorosi del passato, quando siamo andati a comprare tutti assieme montagne di vaccini a prezzi incredibili, o il gas mandando il prezzo alle stelle". È una preoccupazione condivisa dalla premier, che pure questo su chiederà delucidazioni. Del resto, quello di oggi sarà solo lo sparo d’inizio. Il testo limato, corretto e definitivo deve arrivare per il 20. Lascia il segno Giorgetti, mentre sullo sfondo continuano a campeggiare le divisioni tra le due anime del centrodestra. Matteo Salvini insiste: "Gli 800 miliardi si possono utilizzare in altro modo". Soprattutto detesta l’idea di una difesa comune: "Se avessimo un esercito comune, Francia e Germania ci avrebbero portato già in guerra. Tajani la considera "un passo nella direzione giusta". Di qui, la replica secca all’alleato leghista: "Le tifoserie servono a poco". Su un tema sono tutti d’accordo: il nome ReArm Europe non piace a nessuno. "È pessimo", ripetono a Palazzo Chigi.
La premier non si allarma più di tanto per le fibrillazioni. Sa perfettamente che maggioranza e governo, almeno per il momento, non corrono alcun rischio di spaccatura. Le cose diventeranno più delicate solo in caso di voto parlamentare. Ecco perché vola a Bruxelles pronta a dire sì al piano, ma evidenziando una serie di problemi sui quali verterà il grosso del confronto con gli altri leader. Il fatto che non tema guai nella sua maggioranza non significa che sia serena: le preoccupazioni riguardano il ReArm. In parte, sono quelle illustrate da Giorgetti, non a caso da Palazzo Chigi insistono che l’intero governo "è in linea". Il consesso – aperto a Volodymyr Zelensky – parlerà anche degli aiuti all’Ucraina.
L ’Italia naturalmente è favorevole, anche se spera ardentemente che il timido riavvio di dialogo tra il presidente ucraino e Donald Trump proceda rapidamente. In questo quadro, vengono definite "false" le voci sulle foto del presidente ucraino cancellate dai profili social della premier: stanno sui canali ufficiali. "Ho sbagliato io", ammette Lia Quartapelle (Pd) che le aveva rilanciate. Il rischio però è che il tavolo del riarmo e quello dell’Ucraina si sovrappongano rendendo difficile sfilarsi dalla missione militare cui Gran Bretagna e Francia non hanno rinunciato. Sinistra alle orecchie di Giorgia è suonata la frase di Macron: "Riuniremo i capi di stato maggiore dei Paesi che vogliono garantire una pace duratura per l’Ucraina". Anche di questo si parlerà oggi.