Il vertice proposto da Matteo Salvini agli alleati per discutere "entro la prossima settimana" il nome e il metodo del nuovo capo dello Stato rischia di slittare a gennaio. Colpa della manovra finanziaria, già in estremo ritardo. E colpa delle oscillazioni di Salvini. Eppure, il segretario leghista non perde le speranze: un confronto interno prima di Natale "a me sembra possibile" dice ai lumbard a Milano.
Regista dell'operazione
Preso dal ruolo di regista di un’operazione avviata con consultazioni telefoniche coi leader di tutti i partiti, Salvini rilancia: "Mi piacerebbe che ci vedessimo tutti prima della fine dall’anno per un primo incontro". Il che però, calendario alla mano, vuol dire tra il 27 e il 31, non prima. Quindi subito dopo la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio, Mario Draghi, il 22 dicembre (in anticipo sulla tradizione), e il discorso di Capodanno di Sergio Mattarella agli italiani. Inoltre, il presidente ribadirà oggi – nel discorso alle Alte cariche dello Stato in cui sferzerà la classe politica sui temi più impellenti dell’ora che ci attende – che non intende concedere un bis.
"Draghi? Vediamo"
Soprattutto frena, Salvini, e di nuovo, le eventuali ambizioni al Colle del candidato più papabile: "Mario Draghi sta lavorando bene e sarebbe bene che continuasse a lavorare per il nostro Paese, senza mettere in discussione tutto". Parole che segnano la distanza con Giorgia Meloni, convinta invece della necessità di tornare al voto subito e che, non a caso, al Colle vuole metterci Draghi. A lei replica, implicitamente, Luigi Di Maio: "Chi oggi pensa a un voto anticipato dovrebbe assumersi la responsabilità davanti agli italiani di mettere ko un Paese che invece sta correndo più di tutti", tuona il ministro degli Esteri (M5s).
Questione di tempi
"Voto anticipato? Non mi pagano per commentare ipotesi", taglia corto il leghista, che di correre alle urne non ci pensa.
La partita
Di sicuro, la partita per scegliere il nuovo capo dello Stato continua a giocarsi alla cieca. Un po’ si prende tempo, un po’ regna l’ambiguità perché sono molte le carte che restano coperte: dalle ambizioni di Draghi all’ipotesi di elezioni anticipate, se il governo rimanesse orfano del premier, alle chance di candidati appesi ai parlamentari che temono la fine di legislatura. Non a caso, è buio nel centrosinistra con Enrico Letta che rammenta che si limita a parlare "dell’importanza simbolica dello scranno n. 1009" mentre inaugura il comitato per sostenere la candidata del Pd a Roma 1, dove si voterà per le suppletive il 16 gennaio, Cecilia D’Elia.
All'attacco
Resta all’attacco, invece, Matteo Renzi. In un’intervista alla Nazione l’ex premier nota che "oggi la destra ha i numeri, ma non mi pare che abbia né una strategia né il candidato. A gennaio spero che tutti arrivino con le idee più chiare". Poi Renzi nota che sul Quirinale le carte "le dà il Parlamento, quindi tutti, ma serve un regista" e si toglie lo sfizio di ricordare che "nel 2015 il mio Pd aveva la strategia e il candidato, Mattarella".
Certo è che, tornando al centrodestra, a mezza voce Ignazio La Russa (Fd’I) ammette: "Ci auguriamo la vittoria di Berlusconi. Se così non fosse servono ipotesi B e C, ma sono premature".