Bologna, 5 aprile 2023 – A quasi due anni dal varo del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza è stato speso il 6% di risorse e solo l’1% dei progetti finanziati e attuati è completato.
Presidente Romano Prodi, è un problema di regole da derogare e di rinegoziazione con l’Ue o sono stati inseriti progetti di difficile realizzazione, quando non impossibili?
"Entrambe le cose. Il PNRR è un esercizio complicato per cui occorre oliare tutte le macchine per poter andare avanti. La prima fase è stata “tenuta insieme“ con fatica. Nella seconda parte, il governo attuale ha inserito novità che complicano ulteriormente le cose. Tutto questo ha reso meno fluidi i rapporti con Bruxelles. Bisogna decidere subito su capitoli che sembrano marginali, ma che hanno un’importanza politica enorme perché il PNRR vada in porto".
A cosa allude?
"Ai bagnini, ai tassisti. Il tema della concorrenza è esemplare perché il problema della spesa è condizionata, secondo l’Europa, proprio ai cambiamenti che permettono l’aumento di produttività del nostro sistema, obiettivo principale del PNRR. E deve essere il governo Meloni a chiudere il rapporto con categorie che danno noia a Bruxelles".
Meloni ha dato la colpa anche a Draghi. Lei a chi imputa la principale responsabilità del ritardo italiano?
"È naturale che Meloni lo faccia, ma il cammino iniziale del piano non andava interrotto. Non so se saremo in grado di utilizzare tutte le risorse, ma si può accelerare, purché si faccia meno dottrina e più concretezza".
Il 65% dei progetti è in capo ai Comuni, i quali dicono che non hanno i tecnici per la “messa a terra“ dei piani.
"Bisogna concentrare di più gli obiettivi. Vedo che si afferma sempre di più la necessità di affidarsi ai consulenti, contro i quali non ho nulla, ma questo non è il modo per migliorare la nostra burocrazia e la nostra capacità decisionale, anch’esse obiettivi del miracoloso PNRR, a cui sembra sia stato dato il compito di risolvere tutti i mali. Non credo che lo spargere i denari in mille rivoli aumenti la produttività".
Il Pd e l’opposizione come dovrebbero comportarsi?
"Il Pd non può nemmeno sapere a cosa opporsi perché non si conoscono le proposte precise del governo. Su alcuni punti, auspico che si possa anche trovare il necessario accordo".
Il nuovo schema di Elly Schlein è spostato a sinistra, tanto è vero che sta recuperando anche consensi che si erano indirizzati verso i 5 Stelle. Non c’è il rischio per il Pd di perdere i moderati o chi fa riferimento per esempio agli amministratori?
"Si dice che... ma il problema principale della Schlein è la ricomposizione del partito che non vuole dire conformismo, ma dialogo costruttivo tra le diverse correnti. Uso un’espressione fuori moda, ma le correnti esistono e devono esistere nel Pd come in tutti i partiti del mondo. Pensiamo solo al partito conservatore inglese! Il Pd sta cercando un’identità unitaria, che secondo me finirà con il rafforzarlo e, allo stesso tempo, col rendere possibile un dialogo sia con Conte sia con Calenda e Renzi".
Pensa a una coalizione?
"Siamo concreti, se il Pd vuole vincere le elezioni, una coalizione è indispensabile. Però per prima cosa il Pd deve crescere nel Paese, e su questo sembra avviarsi sulla strada giusta per essere poi il punto di riferimento della coalizione. E se vuole governare, deve fare propri alcuni contenuti di sinistra (giustizia sociale, salario minimo, maggiore coesione, attenzione a sanità e istruzione pubblica) ma non può mettere in secondo piano alcuni punti che sono impropriamente attribuiti alla destra, come il desiderio della governabilità, una capacità decisionale rapida e forte, anche con una legge elettorale che favorisca soluzioni stabili. Ritengo che la nuova sinistra sia la ricomposizione tra due esigenze: una maggiore giustizia sociale e la necessità di rimodernare il Paese".
Un altro Prodi non c’è.
"Non c’è e non ci può essere: rimpiango solo di andare più piano in bicicletta, ho un’età! Posso però ricordare che il mio contributo si è concentrato proprio nello sforzo di ricomporre i diversi riformismi. Tuttavia l’idea che destra e sinistra restino immutabili, mentre tutto cambia, è semplicemente ridicola. La giustizia sociale dovrà sempre restare il caposaldo della sinistra, altri obiettivi debbono adattarsi ai tempi, pur avendo sempre presente l’interesse popolare. Sarebbe ora che ci ponessimo altri problemi di fondo, come le regole democratiche dei partiti previste dalla Costituzione. O l’unità sindacale, che per me è stata un sogno mai realizzato, ma un minimo di utopia serve anche al riformismo, che non è mai solo ragioneria".
Che effetto le ha fatto sentire che in via Rasella furono colpiti solo dei pensionati?
"Ho pensato: è un errore. Infatti poi c’è stato un pentimento, perché una tale distorsione della storia, diventata patrimonio comune, è inaccettabile".
Ma se il pensiero delle destra è quello di negare la matrice fascista, anche in episodi che hanno segnato la Resistenza, come si fa a trovare una memoria condivisa?
"Non si trova. Partendo da affermazioni così, che sono purtroppo uscite perché pensate, è difficile rinvenire una condivisa interpretazione della realtà storica. In Italia la ferita non è ancora stata chiusa: i fascisti rimangono fascisti".
Cosa la preoccupa di più in questo momento?
"Questa inflazione anomala. Il totale controllo dei prezzi è impossibile, però qualcosa si può fare: non vi è nemmeno un’informativa del governo ai consumatori. Nella prima fase, i prezzi crescevano per l’aumento del gas o del grano o delle materie prime, ma sono aumentati molto più del dovuto e continuano a crescere. In altri Paesi, in Francia soprattutto, è cominciato il dibattito fra produttori, imprenditori, grandi catene distributive, low cost - scusi, a basso costo, altrimenti il governo mi multa - su chi abbia la responsabilità di questo andamento anomalo dell’inflazione. In Italia il dibattito non è nemmeno cominciato e temo che il risultato di questa omertà sia che, prima o poi, scoppierà la rivolta dei consumatori".
Che cosa vorrebbe sapere?
"Chi ci ha lucrato di più".