Martedì 12 Novembre 2024
GIORGIO LA MALFA
Politica

Presidenzialismo sì o no? "Riforma inutile. Può dare stabilità ma non governabilità"

Giorgio La Malfa: "Meglio introdurre la sfiducia costruttiva alla tedesca. Non gettiamo il Paese nel caos, basta qualche ritocco alla Costituzione. A meno che il governo non cerchi una via di fuga in caso di fallimento"

Biden e Macron sono stati eletti in sistemi presidenziali

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Presidenzialismo sì o no? Il dibattito prosegue. Dopo gli interventi di Paolo Cirino Pomicino e di Sofia Ventura, oggi è la volta di Giorgio La Malfa, ex ministro nonché ex segretario del Pri

Roma, 7 gennaio 2023 - Nella conferenza stampa di fine anno, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso la sua soddisfazione per la rapidità con cui il governo si è costituito dopo le elezioni del 25 settembre, ha varato la legge di bilancio e l’ha fatta approvare dalle Camere. Nei giorni scorsi il governo ha reso noto anche di avere realizzato in tempo tutti gli obiettivi del Pnrr previsti entro la fine dell’anno. Ora, utilizzando una pessima legge voluta venti anni fa da un governo di centrosinistra, può immettere ai vertici della burocrazia persone di sua fiducia imprimendo così più nettamente il proprio segno sull’azione amministrativa. Dunque, ricapitolando, il presidente della Repubblica, visto l’esito delle elezioni, ha incaricato il capo del partito di maggioranza relativa di formare il governo; questi ha proceduto rapidamente e ora lavora alla realizzazione del proprio programma. Naturalmente ciò è dovuto al fatto che l’esito delle elezioni è stato chiaro. Se non lo fosse stato, avremmo ancora governi deboli. Ma la loro debolezza sarebbe politica non costituzionale. Se le cose stanno così, non c’è alcun bisogno di mettere mano a una riforma costituzionale intesa a rafforzare l’esecutivo. Ma si dice: la riforma costituzionale è nel programma della destra e quindi andrà fatta, anche se in questo momento non se ne percepisce la necessità.

Ma quale riforma costituzionale? Se la maggioranza avesse davvero un preciso disegno di riforma costituzionale potrebbe presentarlo in Parlamento ed avrebbe la maggioranza. In realtà non è così. Se la presidente del Consiglio si dice pronta a incontrare a mezza strada le opposizioni, vuol dire che il disegno di riforma non è ancora formulato con precisione.

In realtà, dire riforma in senso presidenziale non vuol dire nulla; può significare cose fra loro molto diverse. Che cosa vogliamo? Il presidenzialismo americano, quello francese, l’elezione diretta del capo dello Stato senza modifica dei poteri o semplicemente l’elezione del presidente del Consiglio, come propone una componente delle opposizioni? Ciascuna di queste soluzioni richiede interventi molto estesi sulla Carta costituzionale, ha effetti molto diversi e pone complesse problematiche da non sottovalutare relative all’equilibrio dei poteri. Ma il punto che le accomuna nelle due più rilevanti esperienze, quella americana e quella francese, è che l’investitura popolare del capo del governo non porta necessariamente con sé la maggioranza del Parlamento.

Può avvenire ed avviene che l’esecutivo abbia un colore politico e la maggioranza del Parlamento un colore diverso. In questo caso, il governo non è in grado di far passare il proprio programma legislativo, nonostante l’investitura popolare. È successo molte volte negli Stati Uniti che il governo non sia riuscito a fare approvare in tempo il bilancio federale. L’investitura popolare rende più forte l’esecutivo nel Paese e nel mondo, ma lo rende soggetto agli orientamenti del Parlamento. C’è stabilità, ma non è detto ci sia governabilità. Né si può immaginare di collegare, come avviene per l’elezione di sindaci o regioni, l’elezione diretta e un premio di maggioranza che dia all’eletto la maggioranza delle Camere. Questo vorrebbe dire l’eliminazione del Parlamento come organo autonomo di espressione del pluralismo delle idee politiche, cioè del fondamento stesso dei sistemi democratici.

I sistemi costituzionali democratici non possono eliminare la possibilità di un esito elettorale che rende difficile la governabilità: si guardi il caso di Israele, dove da anni si torna regolarmente a votare senza riuscire ad avere un governo con una maggioranza stabile. La mia conclusione è che se si vuole rafforzare l’esecutivo, ci sono piccole ma rilevanti modifiche costituzionali che potrebbero essere introdotte. Attribuire al presidente del Consiglio il potere di nominare e di revocare i ministri; la sfiducia costruttiva alla tedesca, cioè che le Camere possano decretare la fine di un governo solo indicando una diversa maggioranza. Questo sarebbe più che sufficiente. Il cantiere della grande riforma rischia di gettare il Paese nella confusione per anni. A meno che il governo non voglia prepararsi una via di fuga, se domani la sua azione dovesse risultare poco efficace, affermando che la colpa non è sua ma del sistema. Ma allora l’on. Meloni non avrebbe dovuto usare quel tono di misurata soddisfazione con cui si è presentata ai giornalisti il 29 dicembre.

(3 - continua)