Venerdì 20 Dicembre 2024
COSIMO ROSSI
Politica

Premierato, sì del Senato. La maggioranza brinda: "Più potere ai cittadini". Ma è già referendum

La riforma passa tra gli applausi della maggioranza e le proteste dell’opposizione. La premier Meloni esulta: è un voto che rafforza la nostra democrazia.

Premierato, sì del Senato. La maggioranza brinda: "Più potere ai cittadini". Ma è già referendum

"Più potere ai cittadini", promette la maggioranza. "Bulimia di potere della maggioranza", ribatte l’opposizione. E alla fine "il Senato approva con 109 favorevoli, 77 contrari, 1 astenuto", registra il presidente Ignazio La Russa al termine del primo via libera alla riforma che introduce l’elezione diretta del primo ministro. In un tripudio di opuscoli della Costituzione sventolati da destra e manca.

Non si può dire che abbiano appassionato gli spettatori e uditorio le dichiarazioni di voto sulla contestata riforma istituzionale. Anzi. Nonostante le premesse della vigilia, con la fresca eco della bagarre a Montecitorio durante il dibattito parallelo sull’autonomia, la prima votazione finale sul testo di riforma si è svolta in "un clima di civiltà che vi fa onore", come registrato dal presidente La Russa da uno scranno di presidenza coperto di fogli con più disegni scarabocchiati che annotazioni, a riprova delle poche intemperanze e ragioni di sanzioni.

Tolti gli interventi un po’ più pregnanti dell’azzurro Maurizio Gasparri e del pentastellato Stefano Patuanelli, un po’ di enfasi sui diritti costituzionali dimenticati del Pd Francesco Boccia e di rivendicazioni autonomiste del leghista Massimiliano Romeo, le dichiarazioni di voto in diretta tv sul premierato non calamitano precisamente l’audience. Maggioranza e opposizione, guardano già espressamente allo scontro referendario. Per lo stesso La Russa, all’indomani della prima votazione del Senato, la consultazione popolare "è più probabile". Mentre la premier Giorgia Meloni si congratula intanto via social "un sì per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere". Come già espresso da Marco Lisei (FdI) nel corso delle dichiarazioni di voto.

Questo, d’altronde, è il leit motiv della maggioranza. "Più popolo, meno palazzo", dice Gasparri. All’insegna dell’intramontato "berlusconismo, di cui siamo eredi e araldi per il futuro" che è "democrazia diretta, presidenzialismo, riforma della giustizia, valorizzazione dei territori". Perché un nesso con la parallela riforma dell’autonomia differenziata in corso di approvazione alla Camera c’è. E il leghista Romeo ha ben d’onde di compiacersene: "È nella Costituzione che sventolate, al Titolo V – manda a dire rivolto al centrosinistra –. La verità è che per la sinistra l’autonomia è buona se è al governo, è cattiva se non è al governo". Un diretto allo stomaco della riforma del Titolo V, voluta dal centrosinistra alla fine della convulsa legislazione nel 2001 per blandire gli autonomismi di sinistra e di destra.

Matteo Renzi tentò una correzione e ci rimise governo e carriera. Dal scranni di Iv Enrico Borghi contesta oggi il "disegno disorganico" del premierato che lascia sul tavolo tutti i nodi: "il bicameralismo perfetto, il rapporto Stato-Regioni, la legge elettorale, il premier imprigionato dalla ragnatela del diritto di fronda". Idem Carlo Calenda: "Alla inefficienza della politica si risponde blindando il premier", accusa il leader di Azione, rimproverando non solo una riforma "pasticciata" ma il metodo dello "scontro frontale".

Nell’ottica di "stabilità, rispetto della volontà popolare, tentativo di frenare i ribaltoni", meglio se la destra avesse brandito il presidenzialismo, obietta il 5 Stelle Patuanelli, invece di "stravolgere la Costituzione" per "totale bulimia di potere". Il governo ha "deciso di limitare e ridurre la democrazia partecipativa con una maggioranza parlamentare eletta per trascinamento del premier", fa eco il Pd Boccia un "baratto" con l’autonomia fatto "sulla pelle del paese" dove aumentano le disparità. Tanto che il senatore a vita Mario Monti rileva che la riforma istituzionale è più finalizzata alla politica che ai bisogni cittadini.