Roma, 28 febbraio 2023 - Non chiamatelo spoils system ma di quello, in fondo, si tratta. Chiusi i gazebo, cominciano i guai per i vinti. Ne sono consapevoli nel giro di Bonaccini, tanto che fioccano gli appelli all’unità: "Ho sempre detto che primarie e congresso non devono essere una resa dei conti", riassume il sindaco Dario Nardella, coordinatore nazionale della mozione del governatore emiliano e che incidentalmente è una delle teste in bilico. Se è fuori discussione una terza investitura a Firenze, appare da giocare la partita per una sua candidatura alle prossime europee. Per restare in Toscana agli occhi dei sostenitori di Elly sembra già sfumato il secondo mandato per il presidente della Regione, Eugenio Giani: la nomina a segretario regionale dello schleiniano Emiliano Fossi – dicono – è un segnale in equivocabile. Se precipitano le sue azioni per un bis, ci si può figurare quelle di Vincenzo De Luca, già ufficialmente cassato per un terzo giro in Campania, e di Michele Emiliano in Puglia, dove il congresso segna un’affermazione netta di Francesco Boccia, che qui ha impedito l’ondata per Bonaccini. Quest’ultimo personalmente non rischia niente, e ci mancherebbe dopo l’imprevista vittoria di tre anni fa in Emilia-Romagna. Il discorso cambia per il suo stato maggiore: dal sottosegretario alla Presidenza della giunta regionale, Davide Baruffi, all’uomo-macchina del governatore, Andrea Rossi, che puntavano alla ribalta nazionale e invece sono costretti a restare in panchina. Per Alessandro Alfieri, che aspirava a guidare il gruppo al Senato, potrebbe invece spuntare un paracadute nel suo campo d’interesse: gli esteri.
Con la sconfitta di Bonaccini è tramontata l’idea di una colonna vertebrale del Pd formata dagli amministratori. Quanto questo possa riflettersi sulla sorte dei sindaci – dal primo cittadino di Pesaro, Matteo Ricci, a quello di Bari, Antonio Decaro – è ancora incerto ma qualche effetto sarà inevitabile. Arrivando ai piani altissimi, sono assai pericolanti le due capigruppo in Parlamento, le quali hanno peraltro fatto il beau geste di rimettere il mandato. Che resistano entrambe al loro posto dovrebbe essere fuori discussione.
Se cadrà una testa sarà probabilmente quella di Simona Malpezzi al Senato, con il benemerito Boccia che già si scalda ai margini della presidenza. Alla Camera Debora Serracchiani spera nel miracolo, non è impossibile ma nemmeno facile. Oltre a Chiara Gribaudo e Chiara Braga, alla sua poltrona ambisce Michela Di Biase, consorte di Dario Franceschini il capo corrente che ha messo le sue truppe a disposizione della nemica delle correnti. Sentenza inappellabile per Simona Bonafè, che dovrà rinunciare al posto di vicepresidente dei deputati.
Della scissione tanto paventata in campagna elettorale al momento non parla nessuno. L’unico ad andarsene apertamente è Beppe Fioroni: "Il Pd è oramai lontano da noi. Per questo abbiamo dato vita a un network di cattolici e democratici". Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, è molto tentato: "Dipenderà da Schlein se il Pd sarà ancora il mio partito". Ma queste sono, o sarebbero, fuoriuscite individuale. Da Base riformista, Graziano Delrio e Lorenzo Guerini assicurano: "Non è che uno perde e se ne va dal partito". Taglia corto Pierluigi Castagnetti: "Non sono Fioroni".
Parole da prendere con le pinze. L’eventualità di una scissione per l’esito del congresso era remota fin dall’inizio. I conti si faranno al momento delle scelte concrete – la guerra, il rigore, le alleanze – che prima o poi la neo-segretaria farà. Quello che si vedrà subito è una radicale trasformazione del partito che finora, nei fatti, è stato più chiuso verso le donne. Da quel punto di vista si può scommettere che Elly cambierà davvero tutto.