Roma, 7 dicembre 2016 - Matteo Renzi ha cambiato idea e la Direzione di oggi pomeriggio da quella della «resa dei conti» diventerà quella della «tregua», sia pure «armata». Proporrà di appoggiare un governo istituzionale, anche se fissando dei «paletti»: «serve un governo con numeri larghi, con tutti dentro, a partire da Berlusconi – ha spiegato ai suoi – sennò ci sparano addosso e ci dissanguiamo come fu con Monti». La Direzione di oggi, dunque, potrebbe durare assai poco e poi riaggiornarsi a dopo le consultazioni per capire se, per davvero, nascerà un governissimo o meno. Perché «se le risposte degli altri saranno negative, il bivio si riproporrà e allora sì che Matteo forzerà tutti per andare al voto subito».
Ma se dopodomani «si vedrà», per ora c’è «l’oggi» e ci sono quanti, nel Pd, hanno convinto Renzi, riportandolo a più miti consigli. I frenatori del voto anticipato, ovvio, allignano, all’interno del Pd. Si chiamano Franceschini Dario (ex Dc-Ppi, ex vice di Veltroni, ministro, leader di Area dem, 80/90 parlamentari, di cui 50 deputati e 40 senatori, 20% dei voti in Direzione), Orfini Matteo (presidente del Pd, ex dalemiano, capofila dei Giovani Turchi, 6 parlamentari, quasi tutti deputati, 12% in Direzione) e Andrea Orlando (ministro, falso – pare – che abbia litigato con Orfini, ma più sensibile di lui agli umori della sinistra interna), Martina Maurizio (ministro, leader della nuova corrente, nata dalla rottura con Bersani, ‘Sinistra&cambiamento’, 70 parlamentari: 50 deputati, 20 senatori), Beppe Fioroni (30 deputati, leader dei Popdem ex Dc).
Sono stati loro che, dopo aver rinnovato «fiducia» e garantito «lealtà» al premier nelle prime 48 ore, hanno sconfitto la strada che voleva il premier, il «muoia Sansone» possibilmente coi Filistei (tutti). Come dice a QN il vicepresidente del Senato, Francesco Verducci, «abbiamo ragionato insieme (tranoi e con Renzi, ndr ): condividiamo l’esigenza del voto anticipato, ma bisogna attendere la sentenza della Consulta e fare la nuova legge elettorale. Serve un governo di scopo nel rispetto delle scelte di Mattarella, ma evitando ogni governo tecnico alla Monti 2011».
Gli uomini di Franceschini lo dicono in modo meno diplomatico: «andare al voto subito sarebbe da irresponsabili, Renzi deve capirlo e la sentenza della Consulta (attesa il 24 gennaio, ndr ) lo impone». Ecco perché Renzi e il suo «giglio magico» (Lotti, Boschi, Nardella, cui si è ricongiunto Richetti e che gode ancora dell’appoggio fedele dei «cattorenziani» di Delrio oltre che del vicesegretario Guerini: 40% di voti in Direzione, ma solo 40 parlamentari con loro) devono far buon viso. Ne è uscita, dopo il forcing di Mattarella («inconcepibili elezioni anticipate subito») e l’annuncio della sentenza della Corte, la nuova linea di Renzi: l’ok (formale) a un governo istituzionale, quasi certamente a guida Grasso, per fare la legge elettorale e «andare al voto», certo, ma non tanto presto: se tutto va bene, ad aprile, col rischio di slittare a ottobre. Nel frattempo si potrà fare, volendo, un congresso del Pd «vero» e lì si riaprirebbero i giochi. I Giovani Turchi potrebbero lanciare Orlando, la sinistra interna Speranza in tandem con Letta o, forse, convergere su Zingaretti, i franceschiniani sganciarsi. Il frontman nel far scendere Renzi a più miti consigli, è stato Franceschini, in contatto continuo con il Colle, mentre Orfini e Martina erano più affini alla linea dura. E potrebbe, a questo punto, tornare in gioco pure la sinistra dem. A lungo dissanguata (erano 120 i parlamentari di Area riformista, ora sono solo 50: 30 alla Camera, 20 al Senato, 25% in Direzione), ora ringalluzzita, spera di potersi appoggiare al «partito dei frenatori» per isolare Renzi e soprattutto sconfiggerlo domani. Poi, certo, resta sempre in piedi l’ipotesi che Renzi «tiri dritto». Lo dice, a un amico deputato, Delrio: «Vogliamo un governo solo per fare la legge elettorale, con tutti, ma per votare subito, non un governo che duri molti mesi per farci dettare la linea da Berlusconi e da Bersani e per farci sparare contro da tutti gli altri». A quel punto, Bersani traccia l’ipotesi estrema: «Se Renzi fa il PdA, il Partito dell’Avventura, allora non mi resterà che uscire dal Pd». Nel Pd resterebbe solo Gianni Cuperlo, a sinistra, forse manco lui.