Roma, 6 giugno 2020 - "Hai voluto gli stati generali dell’Economia: organizzali e poi ci fai la sintesi". Per far gridare allo scandalo un democristiano di lungo corso come Dario Franceschini ce ne vuole: se ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, nell’incontro con i capi-delegazione, ha alzato il tono della voce è segno che la tensione con Conte è altissima. Intollerabile, per il ministro dei beni Culturali, che il premier abbia illustrato in diretta tv quel tavolo non solo senza dire niente prima al Pd, ma non avendo in mano uno straccio di programma. "Cosa andiamo a dire alle parti sociali? Con decine di miliardi da spendere, non è possibile presentare un piano in pochi giorni". Non è il viatico migliore per l’evento simbolo della ripartenza che, infatti, dovrebbe slittare di qualche giorno: non comincerà più lunedì ma a metà delle prossima settimana. Un po’ per la fibrillazione tra i soggetti che dovrebbero dare vita agli stati generali. Un po’ per il nervosismo nella maggioranza: "Trasformiamo l’appuntamento in un’occasione di ascolto", butta lì il pentastellato Patuanelli.
Da giorni tra i democratici covava l’irritazione per la mossa del premier che, tra l’altro, rischia di togliere al Dicastero guidato da Gualtieri il pallino della linea di politica economica; guarda caso, il titolare del Mef è stato protagonista di un epico scontro sul tema con Conte solo qualche ora prima. A ben vedere, la polemica lambisce anche Zingaretti. Dietro l’incrociarsi di lame traspare una divisione più strategica sul dialogo con l’opposizione ‘responsabile’, ovvero con Berlusconi. È una marcia di avvicinamento con molti ostacoli,quella fra il Cavaliere e il leader del Pd. Eppure i due protagonisti sembrano determinati ad andare avanti. Non per buttare giù il governo, ma per trattare di economia, riforme (sul tavolo c’è la legge proporzionale) e nomina del successore di Mattarella.
Sulla carta il progetto sarebbe vantaggioso per entrambi: Berlusconi potrebbe uscire dall’egemonia sovranista e porre basi credibili per la forza liberale che si vocifera voglia fare con Renzi e Calenda. Per Zingaretti si tratterebbe di gettare le fondamenta in Parlamento per imprimere un’accelerazione all’azione di governo anche su temi scomodi come il Mes inviso ai cinquestelle. Per di più, con l’aiuto del Cavaliere, potrebbe sottrarre a Renzi il ruolo di referente di Confindustria nella maggioranza. Insomma, una manovra politica di tutto rispetto ma il condizionale è d’obbligo: per quanto insofferente verso gli alleati, riuscirà Berlusconi a seguire i suggerimenti di Gianni Letta oppure non reggerà al pressing di Lega e FdI, con cui governa molte regioni che andranno al voto tra qualche mese? Malgrado nell’area del Carroccio ci sia chi, come Tremonti, lo esorta a sotterrare l’ascia di guerra contro Chigi, Salvini anche ieri non le ha mandate a dire: "Silvio a volte mi lascia dubbi. Usa la stessa lingua di Renzi". E d’altra parte, Zingaretti se la deve vedere non solo con l’ostilità di Leu e M5s (Di Maio fa trapelare tutti i suoi timori), ma anche con le spinte contrapposte nel Pd dove tanto l’ala di Franceschini quanto quella di Orlando non vedono di buon occhio la manovra. Ma la vera incognita resta Conte: vuole davvero il dialogo con l’opposizione o è solo una finta? Il successo dell’operazione dipende da lui.