Senatore Stefano Patuanelli, da capogruppo 5 Stelle accreditato tra i più unitari rispetto al perimetro del centrosinistra, cos’è a suo avviso che impedisce al campo largo di spiccare il volo?
"Bisogna intendersi innanzitutto sulla delimitazione del perimetro e delle forze che lo costituiscono".
In che senso?
"Esiste un campo progressista ben delineato e costituito da tre forze politiche: Movimento 5 Stelle, Pd, Avs. Rispetto a questo, il campo largo che cosa sarebbe? L’allargamento al centro del perimetro elettorale e della proposta politica è un obiettivo sacrosanto. Ma parliamo di conquistare gli elettori moderati, non del ceto politico di forze che fino a qualche mese fa volevano fare un’opa su Forza Italia e in città come Genova partecipano all’amministrazione di centrodestra del sindaco Marco Bucci. Mi riferisco ovviamente a Italia viva di Matteo Renzi: che oggi invece si sveglia e afferma di voler guadagnare il campo largo".
Che cosa c’è di sbagliato nella prospettiva di allargare il centrosinistra ai moderati di Italia viva, Azione, +Europa, radicali e altri chierici e laici liberal-democratici?
"Renzi chiede di mettere assieme voti e non i veti. Il problema è che, purtroppo per lui, non conquista voti, ma ne fa perdere".
Nientemeno?
"Dice di guardare avanti e non indietro. Ma non si può rimuovere quel che è successo. Mi limito alle tappe essenziali: il Jobs Act e l’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; la riforma della scuola e altre riforme sociali e istituzionali iperliberiste. E ancora: quando nel 2018 eravamo vicini a poter fare un governo insieme, all’ultimo secondo si è sfilato per sedersi col popcorn a guardare la nascita del Conte uno; poi ha fatto cadere il Conte due in piena emergenza pandemia per insediare Mario Draghi, creando le condizioni per l’affermazione di Giorgia Meloni. Sarà per questo che alle feste dell’Unità raccogliamo ovazioni quando illustriamo la nostra posizione su Renzi: non appartiene al campo progressista".
Non è infondata però la sua analisi sulla domanda di unità degli elettori di centrosinistra, l’impasse europea del governo Meloni e l’alternativa possibile a partire dal referendum sull’Autonomia…
"Penso che dal punto di vista programmatico Renzi accetti qualunque cosa. Non è quello il suo campo di gioco, ma la gestione politica del potere. Lo dico in senso non dispregiativo, ma non è il nostro Dna. Io guardo al lavoro parlamentare, dove si è coordinata l’azione dell’opposizione, e registro la richiesta di alternativa che sale dal Paese a partire dai temi che ci accomunano al Pd di Elly Schlein – che non è quello di Enrico Letta – su salario minimo, diritti di cittadinanza come lo ius scholae, autonomia, transizione ecologica e digitale. Anche con Azione di Carlo Calenda, che ha ammesso l’errore di aver resuscitato Renzi, penso che il dialogo sia più facile".
Perché però candidare Luca Pirondini in Liguria, dove il campo progressista sarebbe ben rappresentato da una personalità come il dem Andrea Orlando?
"Non è una candidatura: è la messa a disposizione di una figura che può essere una proposta politica. Quando si decidono candidature è giusto considerare le esperienze passate e in campo. In Emilia-Romagna e Umbria sono candidate personalità del Pd. L’esperienza di Alessandra Todde in Sardegna dimostra che si può vincere anche con esponenti 5 Stelle. Poi penso che il progetto politico per i liguri possa senz’altro essere unitario, a partire da Pd e Avs".