Più che la Lega, è il Capitano è uno degli sconfitti di questa tornata. Più che le scelte sbagliate, paga il modo con cui le ha realizzate. Stare nel governo Draghi, per esempio, può anche essere stata una scelta intelligente, il punto è che Salvini dall’inizio ha dato l’idea di non esserne convinto del tutto. Mezzo dentro e mezzo fuori. Il percorso leghista ha finito così per scontentare tutti, i draghiani e gli antidraghiani. Le incertezze nella politica estera hanno fatto il resto, e tutti ricordiamo la figura fatta dal leader del Carroccio con il sindaco polacco ai confini con l’Ucraina. Anche quella frutto della sua bramosia di esserci sempre, di non «reggerla», di subire troppo la concorrenza di Giorgia Meloni. Con il risultato di domenica, il ritorno al Viminale è ormai un sogno.
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Giorgia Meloni: voto 8
l voto alto non è per la vittoria, netta e senza discussione. Sarebbe troppo facile. Il voto è per la campagna che la Meloni ha condotto, senza sbavature, senza gaffe, senza troppi inciami (l’unico, forse, su Orban). E dire che aveva tutti contro. Invece è stata rassicurante senza però rinunciare a mostrare il suo volto, non ha strafatto sapendo che non ce n’era bisogno, non ha avuto un atteggiamento prevaricante con gli alleati pur marcando il punto quando serviva. Merito suo e della squadra che Giorgia ha intorno. Tutti dicono che la Meloni non ha classe dirigente all’altezza, e forse in certi casi sarà pure vero, ma per adesso La Russa, Lollobrigida, Fitto, Donzelli hanno sbagliato pochissimo. Dai Campi Hobbit a palazzo Chigi la strada è stata lunga, ma il più appare fatto.
Silvio Berlusconi: voto 6,5
Avrà perso metà dei voti rispetto al 2018 e ben più rispetto ai tempi d’oro, ma alla fin fine il Cav è sempre il Cav. A 86 anni, con molti malanni sulle spalle e il fisico provato da una vita vissuta senza risparmio, il Vecchio leone ha combattuto la sua ennesima battaglia. Encomiabile, perché in fondo non aveva niente da vincere. Inseguito il sogno impossibile del Quirinale, riabilitato nelle scorse europee, Berlusconi ha accettato di svolgere un ruolo da comprimario scendendo in campi anche non suoi. Basti pensare alle comparsate su Tiktok. Certo il linguaggio è stato lo stesso di sempre, e sentir parlare ancora di «nuovo miracolo italiano» dopo quello del 94 faceva un po’ tenerezza, ma l’uomo è questo. Lui e quei quasi tre milioni di italiani che anche stavolta gli hanno dato fiducia.
Enrico Letta: voto 4,5
Quando un segretario lascia dopo una sconfitta, il voto se lo dà lui medesimo. Ed è un voto senza appello. Enrico Letta è un politico competente, uno che crede a quello che dice, ma da tempo non ne ha azzeccata una. Chiedergli di trascinare le folle sarebbe forse stato troppo, ma mettere in fila una strategia meno suicida era alla sua portata. E invece niente. Pur sapendo di avere un partito intorno al 20-22, prima ha rotto con i 5 Stelle, poi con Renzi, poi con Calenda per abbracciare Sinistra Italiana salvo non volerli in una futura coalizione. A sua discolpa il fatto di guidare un partito che ancora una volta non ha fatto capire che cosa vuole essere. Sospeso tra post-blairismo, melanchonismo, radicalismo, il Pd ha finito per comunicare soprattutto l’assenza di una proposta al Paese. Triste, solitario y final.
Giuseppe Conte: voto 6
Aver rianimato un partito che stava sull’orlo del fallimento meriterebbe senza dubbio per lo meno sette. Il punto è che Giuseppe Conte lo ha fatto riproponendo le ricette che della crisi italiana sono la causa e non la soluzione. Assistenzialismo pubblico, bonus, incertezze internazionali. Se infatti il M5S ha preso il 7 per cento al Nord e il 29 al Sud il motivo è uno solo, e si chiama reddito di cittadinanza, nell’unica versione che i grillini sono stati capaci di organizzare, ossia prebenda pubblica e non misura di reinserimento nel mondo del lavoro. Loro cercheranno di spacciare il tutto come nuovo orizzonte della sinistra, ma peccano di ignoranza. Fare la sinistra significa tutelare chi lavora e dare a tutti la possibilità di guadagnarsi con dignità di che vivere, non chi sta sul divano.
Carlo Calenda: voto 6
Presentarsi per la prima volta alle elezioni e prendere (pur in condivisione) quasi l’8 per cento non è risultato da sottovalutare. Soprattutto se quell’8 viene dalle aree più all’avanguardia del Paese. A Milano, per dire, il Terzo polo sta quasi al 15, e si sa che in Italia molte delle novità sono sempre arrivate da lì. Ciò che impedisce di considerare quello di Calenda e Renzi un pieno successo sono le soglie che i due si erano prefissi (il dieci) e il modo in cui si è arrivati. Il punto è però che cosa accadrà di qui avanti. Se cioé i due alleati/rivali cominceranno a litigare o considereranno un punto di partenza. Un’area liberaldemocratica esiste, e quell’8 lo dimostra. A crederci devono essere loro, senza personalismi e guardando avanti. Anche molto avanti.