Sabato 28 Dicembre 2024
E. G. POLIDORI e E. M. COLOMBO
Politica

Pace fiscale, lo scontro Lega-M5S. I due retroscena

La rivolta della base a 5 stelle: "Traditi i nostri valori". Leghisti furibondi: "Macché complotto, sapevano tutto"

Luigi Di Maio e Matteo Salvini, mai così lontani (Ansa)

Roma, 19 ottobre 2018 - E' stato un giovedì nerissimo, per il Governo gialloverde, sul doppio fronte europeo - con la lettera-bocciatura della Ue -  e interno, con la lite a distanza tra i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che ancora non si parlano da quando il capo politico del M5S ha sganciato la 'bomba' sul decreto Fiscale nel salotto di Vespa. In mezzo, a tentar di ricucire, c'è il premier Giuseppe Conte, che alla fine convince i due a ripianare le cose in un Cdm-bis, sabato mattina. Per tutti e tre, s'intuisce, l'importante è non scivolare in una crisi di governo onclamata. Ma al di là dei fatti e delle dichiarazioni, in questi casi abbondano i retroscena. Eccoli

La rivolta della base 5 stelle: Traditi i nostri valori

di ELENA G. POLIDORI

Un "chiarimento politico" con la Lega per evitare di ritrovarsi da solo. Ancora più solo di quanto non lo sia stato negli ultimi mesi. Con la base in rivolta che lo accusa di "tradimento dei valori del movimento", ma anche senza più i suoi più fedeli collaboratori. Luigi Di Maio deve riuscire a portare assolutamente a casa una retromarcia della Lega sul condono "tombale" da sfoderare sul palco di ‘Italia a 5 Stelle’, in programma a Roma nel week end. Altrimenti la sua parabola politica potrebbe subire un’accelerazione improvvisa. Verso il basso. A maggor ragione se, come trapela dalle indiscrezioni, ci sarebbe stato un intervento dello stesso Grillo per bloccare la norma incriminata, tanto da minacciare di disertare la kermesse pentastellata.

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Per questo, per rimettere a posto i cocci di una base imbufalita, ha fatto pressione sul premier Conte affinché convocasse il Cdm che lo facesse uscire dal cul de sac in cui si è "cacciato da solo", dicono tra i grillini di rango, con quelle dichiarazioni in tv sulla "manina", che gli ha fioccato critiche velenose persino dai più vicini. Ieri alla Camera, per dire, un grillino di vertice ha usato parole pesanti sul leader che a Porta a Porta ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo, sfiorando in diretta la crisi di governo: «Mi sembrava di vedere un film di fantascienza...». Sulla gestione della comunicazione e sull’esposto alla Procura, le critiche sono fioccate copiose. «Sono venti giorni che il Quirinale ha in mano le diverse bozze del testo – si spiegava tra i 5 stelle – possibile che Luigi non sapesse che il Colle non avesse in mano quello ufficiale? Non poteva limitarsi a sollevare il caso politico?».

Già. Però, al di là delle critiche a un capo sempre più solo al comando, resta il fatto che per la ‘pancia’ grillina e per il ‘corpo’ parlamentare stellato, il condono così com’è scritto non è digeribile. Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento, ieri scaricava la responsabilità sui tecnici, sostenendo che comunque si troverà una soluzione. Ma non è quello che si crede nell’entourage stellato di Di Maio. Che non può dirlo apertamente, ma punta il dito su un indiziato in particolare: Giancarlo Giorgetti. Un uomo chiave della macchina stellata lo spiega tecnicamente: «Tria non c’entra nulla, le carte erano tutte a Palazzo Chigi». Laura Castelli l’ha detta in una frase secca: «C’è un problema politico con la Lega». 

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La verità, raccontano sempre i più vicini al leader stellato, è che quando sono cominciate a volare le bozze del dl fiscale post-Cdm, sul telefono di Di Maio sono piovute proteste come grandine: il condono veniva considerato «inaccettabile». E Di Maio ha fatto partire un’operazione denuncia. «Tutto da solo». Alcuni messaggi, per dare il tenore della protesta della base: «Puoi chiamarlo come ti pare, ma questo è un condono. E io, che le tasse le ho sempre pagate, oggi mi sento un fesso per aver creduto nel Movimento». E ancora, sui social: «Dal bisogno di onestà che mi ha spinto a dare fiducia a Di Maio. Ora so che era soltanto fumo, il sogno è finito: dovevamo fare la guerra, è stata una resa completa». «Solo un mese fa – puntano il dito sui social – Di Maio aveva il coraggio di dire che ‘il M5S non era disponibile a votare nessun condono’. Oggi, vergognosamente, hanno approvato il più grande condono tombale! Il messaggio è chiaro: ‘Caro cittadino che paghi le tasse sei un povero scemo!’». E a finire nel calderone dell’indignazione social è spuntato persino un post del blog di Grillo targato ottobre 2014, ora di nuovo virale e dal titolo Un altro condono per i soliti furbi: «Sembrava una denuncia – commenta stizzito un elettore stellato tradito – e invece era un punto del programma...».

 

Leghisti furibondi: "Sapevano tutto, macché complotto"

di ETTORE MARIA COLOMBO

Un esponente di primo piano della Lega punta l’indice: «È tutto surreale. Eravamo d’accordo, la pace fiscale è quella roba là». Un suo collega gli fa eco: «Il problema è loro. Non capiscono i testi, se li facciano spiegare». Al prossimo Consiglio dei ministri, magari. Se si riuscirà a tenere sabato o comunque la prossima settimana.  Nel partito di via Bellerio, insomma, c’è stupore per le mosse dell’alleato di governo. Il refrain è che stanno alzando un polverone per coprire le critiche della base e le distanze interne e per preparare la festa del Movimento. Anzi, tra i leghisti non manca chi fa sapere che Grillo avrebbe minacciato di non andare alla kermesse se Luigi Di Maio non avesse annunciato in pompa magna il boicottaggio del provvedimento. 

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Giancarlo Giorgetti, comunque, nel primo pomeriggio, ha visto i sottosegretari della Lega e i capigruppo per fare un tagliando sulla manovra. Linea ferma: nessuno al Cdm di domani, indietro non si torna. Ma all’interno di M5S e Lega si auspica il ritorno al dialogo. «Ora prima Salvini e Di Maio si devono parlare. Eventualmente ci potranno essere delle modifiche in Parlamento al testo ma noi non accettiamo che ci diano lezioni», spiega un esponente del Carroccio. 

La verità – e i leghisti lo sanno bene – è che, sull’incandescente materia del condono fiscale il governo gialloverde è a un passo dalla definitiva implosione. E, di conseguenza, da una crisi di governo. Resta il punto. Solo a tarda serata Salvini smentisce se stesso e fa sapere che, «se serve», andrà al Cdm che dovrebbe sanare il presunto abuso compiuto, secondo i 5 Stelle, sul tema che dopo la Fornero sta più a cuore di tutti alla Lega, il condono (o pace) fiscale.

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Il punto, naturalmente, è tutto politico, altro che impegni vari, figli compresi. «Il decreto fiscale non cambia» diceva, già dal primo pomeriggio, il leader leghista, aggiungendo che «non ci sono regie occulte o invasione degli alieni o scie chimiche che tengano. Cosa fatta capo ha. Io, quando prendo impegni, li mantengo».  Ecco, la famosa notte del Cdm. Quella dopo la quale sarebbe stato Di Maio ad aver cambiato idea e, nella sua foga accusatoria, ad aver messo nel mirino non solo i soliti tecnici del Mef, ma l’intera Lega per un decreto fiscale che, tra le sue norme, prevede di elevare la soglia del condono dai 100 mila euro iniziali fino a 2,5 milioni, introduce uno scudo fiscale per i capitali esteri e produce un colpo di spugna sul reato di riciclaggio. Per non dire delle – neppure troppo velate – accuse partite dal M5S all’indirizzo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giorgetti. Il quale Giorgetti, a dir poco furibondo, ha voluto rivedersi Di Maio a Porta a Porta, per poi sbottare: «Ma c’era anche Di Maio quando abbiamo votato. E il testo era quello!». Il M5S ora dice chiaro che «sì, con la Lega c’è un problema». Il guaio è che anche autorevoli leghisti, da Massimo Garavaglia a Massimo Bitonci ai due capigruppo, sono chiari: ripetono tutti che «no, il decreto non cambia».

A microfoni spenti le osservazioni, però, si fanno velenose e convergenti. «I grillini al governo erano tutti al corrente di quello che votavano – spiegano dal Carroccio –. Nelle giornate precedenti, tra venerdì e domenica, abbiamo passato ore e ore a compulsare le norme del provvedimento. Abbiamo mediato e alla fine il testo è stato letto e riletto».  Dunque, per i vertici del Carroccio, ma anche per i gruppi parlamentari, non ci sono manine che tengono. Tocca a Di Maio convincere i suoi, dopo la kermesse della Capitale, che le norme sono quelle e quelle dovranno essere.