Domenica 8 Settembre 2024
VIVIANA PONCHIA
Politica

"Onorevole parolaccia". Oltre al vaffa c’è di più. Quando la politica parla peggio del popolo

Da Grillo all’insulto di Bersani a Vannacci, passando per Craxi, Bossi e Berlusconi. Un libro racconta com’è regredito il linguaggio di uomini ( e donne) del Palazzo.

"Onorevole parolaccia". Oltre al vaffa c’è di più. Quando la politica parla peggio del popolo

Da Grillo all’insulto di Bersani a Vannacci, passando per Craxi, Bossi e Berlusconi. Un libro racconta com’è regredito il linguaggio di uomini ( e donne) del Palazzo.

Il "vaffa" è solo la fine della storia, la sua apoteosi. Come il "coglione" di Bersani a Vannacci. Catullo dava del "ricchione" ad Aurelio e del "pederasta" a Furio; Terenzio e Plauto erano sboccati come portuali; Leopardi non si affannava a cercare perifrasi per dire "coglione". La scurrilità verbale e la funzione profanatoria dell’insulto sono vecchi come l’uomo, ma solo la nostra può essere considerata l’epoca d’oro dell’ingiuria. Anche in politica. Dove capita di sentire un uomo delle istituzioni dare della "stronza" alla presidente del Consiglio.

A forza di annotare ingiurie e sconcezze, una studiosa riminese di 27 anni, Benedetta Cicognani (foto), si è chiesta: "Com’è possibile che il turpiloquio sia diventato prassi comune nel linguaggio politico?". E ha azzardato una risposta: "È possibile che questa epidemia di volgarità sia scoppiata quando la classe al potere si è accorta che doveva smettere di raccontarsi come élite per diventare come noi, la gente. Doveva parlare come il popolo, se non peggio". Tallonata dal sospetto che la villania serva da salvagente rispetto alla fragilità dei contenuti, costernata e divertita nel compilare un’antologia di epiteti, ha messo le sue ricerche e perplessità in un libro dal titolo trasparente, Onorevole parolaccia, in uscita a settembre. E per rinfrescarci la memoria tira un filo che va dalla retorica sprezzante del Ventennio alle trivialità della Milano da bere di Craxi, dal celodurismo di Bossi al vaffa di Grillo.

Oggi siamo dentro la tempesta perfetta, spiega nella prefazione Roberto Cammarata, professore di Filosofia politica alla Statale di Milano. Dilaga il linguaggio d’odio, diventato la forma più immediata per manifestare dissenso e frustrazione. La politica si adegua alla regressione e cede alla logica del "like". Poi a risentire la baldanza di Mussolini si capisce che non si inventa mai nulla: "La Camera italiana fa schifo" e i deputati sono soltanto "una banda di idioti e postulanti", "un bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione". Doveva passare un po’ di tempo prima che Grillo minacciasse di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno o la senatrice Paola Taverna, riferendosi ai dem, gridasse: "Mafiosi, schifosi, siete delle merde". Però siamo lì.

Cicognani ricorda quando Craxi diede del "coglione" a Renato Altissimo inaugurando una rivoluzione lessicale inappuntabile per grammatica e sintassi però lontana dal politichese, un gergo colorito senza derive triviali ma con tratti glamour. Arrivarono Berlusconi e le sue barzellette, l’idea geniale per un partito che non poteva chiamarsi Pdl: "Mi dicono che il nome che avrebbe maggior successo è Forza Gnocca". Ma il campione assoluto del linguaggio triviale resta Bossi ("La Lega ce l’ha duro") che durante un comizio del 1993 storpia il nome della senatrice Margherita Boniver e procede a modo suo: "Cara bonassa nostra, la Lega non ha bisogno di armarsi, noi siamo sempre armati: di manico!". Seguito sul podio dall’armigero Roberto Calderoli per il quale ""La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni" e la ministra per l’Integrazione Cécile Kyenge è un "orango".

Alla fine della storia per Cicognani diventa quasi necessaria un’apologia della parolaccia: immediata, fulminea, agghiacciante ma ficcante nella sua concisione. Bisogna avere cura anche del lemma meno signorile, non inflazionarlo. Lo raccomandava un insospettabile Calvino: "Se diventa d’uso corrente, non suonerà più come quel rilievo cromatico che costituisce il suo valore. Questo sarebbe una perdita per la nostra gamma espressiva. Le parole oscene sono esposte più delle altre a un’usura espressiva e semantica, quindi credo ci si debba preoccupare di difenderle".