Sono all’incirca le 13.15 quando, accompagnato dal capo dei Gendarmi Gauzzi Broccoletti, papa Francesco, pur reduce da due impegnativi giorni a Marsiglia, compare del tutto a sorpresa nella sala Nassirya di Palazzo Madama. Prima un breve e intenso saluto con Clio, la moglie da sempre al fianco dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Poi, con una smorfia che tradisce lo sforzo per i noti problemi al ginocchio, l’omaggio, in piedi, al feretro dell’ex capo dello Stato. Cinque lunghi minuti di raccoglimento, il tempo di una preghiera silenziosa e deferente per lo statista e l’amico, nessun segno della croce o benedizioni in rispetto alla laicità del defunto. Solo, ancora, l’accenno di un inchino e la mano che si porta sul cuore.
Si consuma così il saluto intenso, un tributo praticamente senza precedenti del Pontefice al due volte presidente della Repubblica italiana. "Un servitore della Patria", scrive Bergoglio sul libro delle dediche prima di lasciare il Senato. Lo stesso concetto che aveva espresso già mercoledì scorso all’udienza generale quando la notizia dell’imminente morte circolava ormai sui media. Il Papa, sintetizza dal Vaticano una nota, si è recato alla camera ardente "per esprimere con la presenza e la preghiera, il suo personale affetto a lui e alla famiglia, e per onorare il grande servizio reso all’Italia".
Da protocollo, nessun Papa partecipa a funerali diversi da quelli dei cardinali del Sacro Collegio (di cui officia la liturgia finale), nè si reca alle camere ardenti di religiosi o laici. Due precedenti sui generis confermano il carattere eccezionale del gesto di Bergoglio: il funerale che Paolo VI volle celebrare per Aldo Moro ma senza il corpo del premier assassinato dalle Br per il diniego della famiglia, e l’omaggio di Giovanni Paolo II alla camera ardente del prelato dell’Opus Dei.
Eccezioni, appunto, come quella riservata ieri da Francesco a Napolitano. Un’amicizia che Bergoglio ha di fatto ereditato da Benedetto XVI. Talmente era intenso il rapporto tra l’ex capo dello Stato e il Papa tedesco che proprio a Napolitano, tra i pochi, una settimana prima della clamorosa rinuncia, Ratzinger confidò l’intenzione di dimettersi. Napolitano restò turbato, ma anche affascinato da quella decisione inconsueta. In molti ricordano il suo volto madido e serio il 4 febbraio del 2013 assistendo, nell’aula Paolo VI, all’ultimo concerto offerto dal Quirinale nell’anniversario dei Patti Lateranensi. L’occasione di un commiato pubblico di Benedetto XVI prima di lasciare il soglio pontificio, aveva poi detto.
All’epoca si parlò di una nuova sintonia tra i due Colli accomunati dal medesimo fine, il bene comune. Ed è proprio questo spirito che Francesco ha ripreso, divenuto lui stesso Papa, intessendo subito, a sua volta, ottimi rapporti con Napolitano, testimoniati dalla calorosa stretta di mano il 9 marzo alla messa inaugurale del Pontificato, e le due visite ufficiali in Vaticano e al Quirinale nel giro dello stesso anno. Napolitano, aveva detto nel 2016 Francesco, era tra "i grandi dell’Italia", di lui sottolineò "il gesto di eroicità patriottica", quando aveva accettato l’incarico per la seconda volta.
Tantissimi negli anni i messaggi, le telefonate. Tutto, sempre, allo scopo di favorire quel "bene comune" che Francesco ha posto ad epigrafe nel suo telegramma di cordoglio. "Ho apprezzato l’umanità e la lungimiranza nell’assumere con rettitudine scelte importanti, specialmente in momenti delicati per la vita del Paese, con il costante intento di promuovere l’unità e la concordia, animato dalla ricerca del bene comune".